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Gebhardt – Geb Heart

2022 - Apollon Records
songwriting / rock

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Salutiamo il 2022 sulle note geniali, e volte in fantasiose, di “Geb Heart“, il disco uscito a fine settembre e rilasciato per la Apollon Records, registrato sotto il nome della ditta Gebhardt, il curioso, perché estremamente interessante, progetto che appartiene a Håkon Gebhardt e alla moglie Marì Simonelli. Il pezzo d’apertura, Breakup Breakdown, che suggerisce comunanze Tom Waits/Primus addizionati di garage, già definisce l’estro magico del verbo gebhardtiano, ed è gaudio ascoltare simili suoni variegati e consegnati al pop rock colorito (None of This Is Mine). La matrice nineties soffia sull’intero albo e risulta come un cabinet of curiosity entro cui scovare tante prelibatezze (vedi pure l’artwork del disco, che sostiene – merito di Geb – tale assunto), apertamente convincente e questo lungo tutta la seduttiva linea musicale.

La melodia è collante in grado di legare le canzoni creando umori diversi, a volte pacati e altre volte grandiosamente rock (memorabile That Day), mentre l’introspezione testuale è propria di chi ha vissuto stati emotivi intensi e non va per la qualunque, ma asserisce costantemente a questioni di rilievo che riguardano la sfera dello spirito (spesso indomito e lacerato, palpitante) e agisce da catalizzatore sulla coscienza, con l’attitudine ad affrontare i limiti personali, anche giocando con gli strumenti e le parole.

Geb Heart” non è un luogo che ama la linearità tout court, primordiale e mixato col gusto raffinato dei toni e delle trame (I Want to Know, e dimmi se non ti viene la pelle d’oca), il cui fine calderone creativo stuzzica l’ascolto e titilla vibrazioni che caratterizzano le song.

Queste sono 14 in totale, 10 cantate e 4 strumentali (bonus track nella versione CD, tra cui spicca March of the Tortoise), ed evidenziano il sensibile potere creativo e ritmico assegnato a ogni composizione; parimenti segnano il passo verso una ricerca particolare, dove ogni strumento dà del suo alimentando il suono collettivo, e di scavallamento da posizioni canoniche che riguardano la forma canzone, come fossero ipercanzoni appartenenti a un pop rock evoluto, soggiacciono accattivanti.

Il lavoro squisitamente musicale, di arrangiamento e costruzione dei brani, è capitanato da Geb, fa quasi tutto da solo, scrivendo, componendo, suonando chitarre, tastiere, batteria, cantando, modificando armonie vocali, producendo, mixando, tagliando loop e semplicemente scherzando. Sua moglie Marì Simonelli è al basso e co-autorice dei testi per fissare insieme la sua creatività.

Corre nel complesso, lungo il disco, un senso di pre-felicità (Monkey Sivert), requisito di plusvalore che irradia e accerchia ogni canzone sino a fungere da tramite per accedere a un sentire rarefatto, lieve, multiforme, giustappunto ricco di ispirati standout (Beautiful Girl; Fixing Things; The Third Song); potremmo leggerlo quale nostalgia dell’altrove, che felicemente si coniuga col forte bisogno di doversi mettere in viaggio per esplorare il mondo. La capacità d’immaginare, scaturita dal laboratorio di fantasticherie rock di Håkon Gebhardt, il Das Boot Studio di Firenze, regala panorami dell’udibile fumiganti di percettibile bellezza: se ascoltato in questa fredda stagione, “Geb Heart” scongelerebbe anche il Polo Nord (Distant Stars; Please Don’t Go Away).

La connessione dell’esperienza degli autori con i testi – ciascuno può immedesimarsi in essi -genera emozioni e dona, nel gioco dei collegamenti tra tutti gli elementi coinvolti (ricerca, esperienza, emozioni, immagini, linguaggio), un contesto comunicativo autentico dove in esso le canzoni mostrano tutta la loro valenza e pervasività di stampo rock, dando adito a un’interazione musicale fluente e spontanea.

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