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Ristampe e Dintorni

Virgin Prunes – …If I Die, I Die (40th Anniversary Edition)

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1977. Dublino. Irlanda.

Pochi chilometri ad est, al di là del mare, il punk sta spazzando via perbenismo e finte buone maniere di una società che dopo secoli di convenzioni sociali ha sepolto verità e bellezza. Deflagrazioni forti che arrivano anche nella verde isola d’Irlanda dove integralità religiosa e periferie plumbee di grigio cemento, nondimeno risentono di tali nuove ondate sociali. Il terreno è fertile, pronto, mancano solo i protagonisti. Sono tutti ragazzi giovanissimi. Alcuni fanno musica. Ci provano. Non sono anime cattive, forse solo un po’ perse e in cerca di un loro centro di gravità neanche troppo permanente.

È in questo contesto che inizia la nostra storia, quella di una band che con soli due dischi al proprio attivo è riuscita ad essere così di culto nella storia della musica come poche altre sono riuscite prima e dopo di loro.

Questa è la storia dei Virgin Prunes, nello slang locale “puri reietti” e del loro primo disco …If I Die, I Die”, uscito nel 1982. Tutto nasce attorno ad una comune culturale dal nome “Lypton Village”, o più semplicemente “The Village”, dove giovani delle periferie si ritrovavano a parlare di religione, spiritualità, di politica, arte e musica. Tra questi anche Paul Hewson e David Evans che di li a breve sarebbero diventati famosi in tutto il mondo con i nick di Bono Vox e The Edge.

La vita dei Virgin Prunes risulta legata a quella degli U2 fin da quelle prime riunione al Village, dove si sognava di poter far musica propria e di suonare un giorno forse addirittura in quella Londra inondata dal punk. Gavin Friday, frontman della band, è il miglior amico di Bono e “Dick” Evans, il chitarrista, è fratello di The Edge e inizialmente addirittura 5’ membro degli U2, anche se la propria permanenza è talmente breve che forse non se lo ricorda neanche più lui.

I suoi riff di chitarra sono troppo fuori dagli schemi per il sound che gli altri 4 hanno in testa e molto presto diviene chiarissimo che in quella band non c’è e non ci potrà essere spazio per lui. Come è andata per gli U2 lo sappiamo tutti.

La loro musica era proiettata verso i grandi spazi, dove i cori del pubblico diventano inni. Bono gridava al mondo l’orrore di tristi domeniche intrise di sangue sventolando una bandiera bianca tra le rocce del Red Rocks Amphitheater in Colorado mentre la chitarra di The Edge rieccheggiava ieratica tra fuochi indimenticabili e alberi di Joshua. I Virgin Prunes erano altro. Vedevano altro.

In loro c’era la ricerca della bellezza nell’essere diversi e il diverso era essenza stessa della bellezza. Davanti a loro c’era la voglia di shockare le menti dei ben pensanti e di rivoltarle fino a disgustarle per ciò che ai loro occhi rappresentavano.

Le prime esibizioni sono sinistre piece teatrali intrise di surrealismo, al limite tra il provocatorio e l’eccentrico. Suoni dissonanti si mischiavano a frastuono in uno scenario perfetto per le performance di Gavin Friday (Fionan Harvey) che sovente entrava in scena con una testa di maiale infilzata su un’asta. L’ispirazione affondava le radici nella missione dadaista del togliere il sonno alla borghesia e l’arte stessa veniva vista come strumento per oltraggiare il perbenismo ufficiale. Il messaggio era chiaro: “Noi non siamo e non saremo mai come ci volete voi!”

Più che una band un collettivo artistico dove oltre che a Friday (voce) e Richard “Dick” Evans (chitarra), troviamo Derek “Guggi” Rowan (seconda voce), Dave-Id (terza voce), Trevor “Strongman” Rowan (basso) e Pod (batteria) poi sostituito da Mary D’Nellon.

Dopo quelle prime sperimentali esibizioni avanguardistiche e un primo singolo uscito nel 1981, dal titolo “A New Form of Beauty”, i Virgin Prunes incontrano l’ex Wire Colin Newman che li conduce verso quello che sarà il loro primo disco, …If I Die, I Dieuscito il 4 novembre 1982 e che proprio quest’anno compie i suoi primi 40 anni.

La band acquisisce sicurezza e sonorità più pulite, pur mantenendo originalità e propensione verso una sorta di rock molto glam, ma sempre profondamente dark. Le canzoni sono litanie tra il post-punk e la new wave, accompagnate da testi che Friday recita con sicurezza e credibilità come in un cabaret espressionista tedesco degli anni 20.

Le influenze vanno dal Bowie berlinese, al punk, all’arte dadaista, al glam e al teatro sperimentale mentre dal punto di vista musicale gli strumenti della tradizione irish come il whistle e il bhodram si mischiano alle chitarre elettriche, a rumori dissonanti e a suoni registrati in presa diretta.

…If I Die, I Die è un disco che a distanza di 40 anni suona ancora potente come un tuono che all’improvviso squarcia il silenzio di una placida notte d’estate. Pezzi come Ulakanakulot, Decline and Fall e Sweethome Under White Clouds risultano ipnotiche e stranianti ancora adesso, per non parlare poi di una canzone come Caucasian Walk, la cui potenza ha acquisito con il tempo ancor più forza e bellezza, con quella chitarra che ti entra in testa senza uscirne più. Dalla prima all’ultima delle 9 tracce, la tensione rimane intatta come al primo ascolto di quei primi giorni di novembre del 1982 quando ancora non era chiaro, così come invece risulta oggi, quanta influenza avrebbe avuto questo disco.

Gli stessi U2, nel corso del tempo, in particolare dopo la svolta avvenuta con “Acthung Baby” nel 1991, acquisiranno un’aurea dark che molto si rifaceva all’essenza stessa dei Virgin Prunes.

Così come scrive Bill Flanagan nel suo libro “Gli U2 alla fine del mondo”, uscito nel 1996, il personaggio che Bono metteva in scena nei bis dello Zooropa Tour del 1993 sulle note di “Daddy’s gonna pay for your crashed car”, il mefistofelico Mr.McPhisto, altro non era che una maschera fortemente ispirata dal Gavin Friday di quelle prime esibizioni live, nelle movenze, nelle mimiche e soprattutto nel modo teatrale di porsi al pubblico.

La discografia dei Virgin Prunes proseguirà nel 1986 con “The Moon Locked Down and Laughed”, con alcuni live, bootleg e raccolte varie, ma quel primo seminale disco rimarrà il loro manifesto più rappresentativo.

Dopo lo scioglimento della band, Friday ha proseguito una significativa carriera da solista, Guggi si è concentrato sulla sua vera passione, la pittura, mentre Dave-Id, Strongman e Mary D’Nellon hanno continuato il progetto musicale mutando il nome in The Prunes, producendo 3 dischi che non hanno però raggiunto il livello dei precedenti lavori.

Dai quei cerimoniali grotteschi e da quel crooner burtoniano che si muoveva sinistramente sul palco sono trascorsi 40 anni, il punk e la new wave di quei giorni si sono tramutati in altro, il perbenismo dei benpensanti è rimasto quel camaleonte che era e Bono e soci hanno continuato a girare il mondo con tour giganteschi, ma la creatività sfrenata presente in quel concept album e la poetica espressa in quegli anni rimane ancora scolpita in quelle 9 tracce indelebili oggi più di allora.

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