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“Surrender – 40 canzoni, una storia”, la casa degli specchi di Bono

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Insofferenza, se non proprio fastidio, è questo che ho sempre provato nei confronti di Bono Vox. Più di tutto non sopporto l’ostentazione della sua presunta bontà d’animo (e in questo ho abbracciato sin da subito l’immagine che “South Park” ha confezionato per lui, e chi ha visto una certa puntata sa di cosa parlo), le sue genuflessioni papali e, di conseguenza, il suo essere fervente cristiano, impossibile da non percepire perché proprio sbattuta in faccia. C’è però da dire che tanti altri artisti che adoro sono credenti, spesso tanto ferventi quanto lui, un esempio su tutti Nick Cave le cui canzoni sono imbevute di questo amore per Dio tanto quanto quelle di Bono, al punto che quest’ultimo, in “Surrender”, nomina proprio l’ex-Birthday Party dopo aver citato una lettera di San Paolo agli Efesini. Non è un caso. Detto ciò ho sempre adorato gli U2 o, quantomeno, gli U2 fino ad “Zooropa”, con una piccola eccezione per “All That You Can’t Leave Behind”, ma per motivi non legati alla musica in quanto tale. Di conseguenza ho amato Bono.

Con questa ipocrisia di fondo, questo sdoppiamento implacabile, non mi sono fatto sfuggire l’acquisto del memoir di Paul David Hewson e la conseguente lettura a perdifiato, pagina dopo pagina. Andiamo per gradi. Il modo di scrivere del leader degli U2 è incendiario, tracotante e, in alcuni casi, rasenta un determinato tipo di perfezione letteraria in ambito musicale, del memoir. Tante sono le autobiografie scritte da artisti che amo centomila volte più di Bono ma non all’altezza delle aspettative, ecco, lui invece scardina il tutto. Il racconto della sua vita è suddiviso in ben 40 canzoni della sua band e da queste prendono piede i ricordi di una vita in bilico tra essere un artista con tutti i crismi e un’irritante popstar schiava del culto messianico di ogni cantante che possa permettersi i palchi degli irlandesi più famosi del mondo del pop. Hewson tiene un piede in questa e l’altro in quella scarpa, riuscendo a farsi punk quando deve e superstar un attimo dopo. Vive in un dualismo, irreale nella sua realtà o reale nel suo essere una maschera e non lo nasconde affatto. Quando parla di musica è un piacere per gli occhi, si lancia nelle band che lo hanno formato e non sempre si tratta di roba al suo livello di fama, altre invece non può prescindere dal suo status ed è lì che il libro implode e diventa difficile continuare.

(c) John Hewson

Bono è, volenti o nolenti, “fame” (cantatevi pure la canzone del Duca Bianco in testa, se volete, è perfetta) al 90%, se non al 98, allora comincia a parlare dell’attivismo e vive solo in un mondo di ricchi, ignorando completamente la lotta dal basso, perché d’altronde lui vive in un mondo diametralmente opposto a quello di tanti artisti che invece preferiscono ancora oggi sguazzare sottoterra. Nel momento in cui si trasforma nel sé politico è claustrofobico e fa venir voglia di saltare quasi 200 delle 600 e rotte pagine di cui è composto “Surrender” ma, tutt’a un tratto torna sui binari e ricomincia a essere semplicemente un musicista e, spesso, si contraddice ma questo è il gioco del memoir delle star: sta al lettore credere a quel che legge (provate a leggere “La sottile linea bianca” di Lemmy e poi tornate a dirmi se non è così). Fa tutto questo con amore e dedizione e anche con paraculaggine estrema, non si esimendosi dall’ammetterlo, cosa che lo rende ancor più paraculo.

Surrender”, in qualche modo, rispecchia a pieno la discografia degli U2: fino a “Pop” una band che sperimenta e rischia, magari sbaglia ma fa arte al di sopra dell’atmosfera ma da quel punto in poi diventa una scocciatura, plastificata e intenta a guardarsi allo specchio senza aggiungere più nulla in alcun modo. Però quella prima parte di carriera (e di libro) è roba davvero buona. Vale la pena ascoltarla, anche solo per dire “Sì, Bono, ma ora vai un po’ a fare nel…”

Autore: Bono
Uscita: 01/11/2022
Editore: Mondadori
Traduttore: Michele Piumini
Pagine: 696
Prezzo: € 27

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