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Mono – My Story, The Buraku Story (An Original Soundtrack)

2022 - Temporary Residence Ltd.
soundtrack music / post rock

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Tracklist

1. Doumyaku
2. Watashi
3. Kokyo
4. Yurameki
5. Gohon No Yubi

6. Kioku
7. Kattou
8. Chinmoku
9. Himitsu
10. Songen
11. The Place


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L’idealizzazione della cultura giapponese in occidente vorrebbe che gli abitatori dell’estremo oriente siano persone innocue e cordiali, che usino lasciare i luoghi frequentati all’estero puliti e intonsi al loro passaggio (o almeno a ogni grande evento sportivo questa è la notizia-tipo che i siti di clickbait cercano di propinare). Una retorica che non tiene conto della storia novecentesca d’invasione dell’Impero del Sol Levante e delle atrocità annesse (vedi massacro di Nanjing), ma volendo restare entro i confini giapponesi, si direbbe che nelle dinamiche culturali interne non ci sia traccia di razzismo e discriminazione. 

Il documentario “My Story, The Buraku Story” ci dimostra che non c’è niente di più sbagliato. La storia dei Burakumin, gruppo sociale discendente di famiglie umili di conciatori e macellai, è per lo più ignota e ben poco edificante, una storia di segregazione centenaria fatta di liste di proscrizione e di esclusione sociale, basata anche su un semplice cognome, e che tutt’ora persiste nell’identità di alcuni giapponesi, nonostante ormai cultura cittadina e rurale siano sempre più sfumate nel contesto globalizzato, a maggior ragione per una nazione iper-tecnologica e sovrappopolata.

Per sonorizzare il documentario il regista Yusaku Mitsuwaka si è avvalso della collaborazione dei Mono, il più importante gruppo post-rock nipponico ed uno dei più prolifici a livello internazionale. I quali si sono impegnati diligentemente nell’aggiungere un ulteriore tassello alla loro esperienza, adeguandosi al compito: il quartetto di Tokyo aveva già dimostrato nei suoi precedenti lavori un’intensità cinematografica, ma mettere in musica un documentario è diverso, è qualcosa di più simile ad un’insonorizzazione. Perciò chitarre e batteria vengono accantonate, in favore di synth, archi, loop vocali e tanto, tantissimo pianoforte: per la colonna sonora del documentario i Mono danno fondo al loro archivio di notturni a disposizione, su tutti Kokyo e Kioku. Ma l’intero disco, a partire dai primi due pezzi Doumyaku e Watashi, non fa che alternarsi tra semibrevi in synth e arpeggi con archi in sottofondo, rendendolo velatamente un’unica traccia di accompagnamento della quale non si distingue l’inizio e la fine.

Fa eccezione solo la chiusura The Place, il più classico dei crescendo post-rock che si possa immaginare, abbastanza intenso da non risultare mera accademia ma fatto di cuore, nonostante nel genere il rischio di ripetitività sia sempre dietro l’angolo. È forse questo il segreto della longevità dei Mono, che permette loro di fare ancora bella musica strumentale: non è tanto l’originalità della composizione a fare la differenza, ma la determinazione in ogni singola nota suonata, che rende ancora vivi durante le esibizioni pezzi sentiti fino allo sfinimento come Ashes In The Snow.

La sensazione logica ad ascolto terminato è che il disco senza la visione del documentario sia un’esperienza monca. Purtroppo, su questo viviamo un paradosso: almeno per chi non conosce il giapponese, è molto più facile avere a disposizione il primo rispetto al secondo, a mesi di distanza dalla pubblicazione. Gran peccato anche e soprattutto per l’interessante tema trattato.

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