Impatto Sonoro
Menu

L'editoria(m)ale

Un inutile spreco di aggettivi altisonanti: vedo la gente Young Signorino

Editoria(m)ale young signorino

L’equazione la conosciamo, il copione pure. Quando un personaggio del cosiddetto universo mainstream cambia improvvisamente rotta e si dà a qualcosa di riconducibile al cosiddetto universo alternativo le reazioni degli esponenti della nostra generazione – quella dai 30 in su – sono le più prevedibili e le più annichilenti possibili. Ci si spertica in appellativi che vanno dal genio al visionario per i più sfacciati, dal sorprendente al fantastico per i più moderati, i più temerari buttano lì pure un “mi piaceva pure prima”, in generale è tutto un apprezzamento di un prodotto che, non serve spiegarlo, è di pura facciata e poca, pochissima consistenza. È successo stavolta con Young Signorino, tornato dopo diverso tempo sulla cresta dell’onda, stavolta non per essere perculato – ve la ricordate tutti la sua Mmh Ha Ha Ha e tutto ciò che ne conseguì – ma per essere totalmente riabilitato per via di una svolta post-punk / darkwave / goth messa in mostra con il suo nuovo singolo Flames Inside. Ve lo riassumiamo con poche parole: è una cover di una cover di una cover di una cover di una cover di una cover di una cover dei Joy Division, eseguita per altro sotto il livello del minimo sindacale musicale, ne prende gli elementi basilari ma non li trasfigura nella contemporaneità, non attualizza, non aggiunge nulla di nulla.

Ora, in questa sede non ci interessa disquisire oltre sul malcapitato Young Signorino e sulla sua produzione musicale, che non apprezziamo, lo avrete capito, ma che rispettiamo, per quanto possa contare (nulla). Quello che ci interessa comprendere e indagare è quel fenomeno insostenibile di cui parlavamo in apertura, ovvero perché diavolo un prodotto mainstream quando prende in prestito le sembianze di creature alternative debba ogni santa volta essere accolto con fervore ed entusiasmo da poveri cristi che quella roba dovrebbero semplicemente ignorarla quando non direttamente schifarla.

È successo spessissimo in questi anni, si è partiti da Miley Cyrus che sotto acido è diventata un idolo dell’indie pop più raffinato, si è passati per Beyonce e tantissimi altri esponenti dell’universo black e si è arrivati oggi ai maleodoranti effluvi latini di Rosalía e Bad Bunny per chiudere poi con Taylor Swift e le sue petulanti nenie country di cui, grazie al cielo, pure lei sembra essersi stancata, e ci mancherebbe. Tutti prodotti puramente pop di consumo immediato, sulla cui fattura per gli stessi standard del genere si potrebbe ampiamente discutere, ma che spesso e volentieri vengono apprezzati dal nostro mondo non come sacrosanti guilty pleasures, il cui diritto a esistere è uno dei capisaldi del garantismo in ambito musicale, ma ricamandoci attorno tutta una serie di assurdi ghirigori di alta cultura nel tentativo ingiustificato di farli assomigliare a ciò con cui siamo cresciuti, a ciò che apprezziamo davvero.

Vi piace Taylor Swift? Va bene, va benissimo, ma non è la regina del country, nè la nuova speranza del cantautorato, e il fatto che basti la presenza di Bon Iver e Aaron Dessner a farvelo credere è preoccupante. Vi piace Rosalía? Fate pure, accomodatevi, ma non cercate in lei “un carpiato fuori dalla tradizione e dentro una scarlatta dimensione estetizzante“, perché semplicemente non è affatto così. Sono prodotti di massa, ben confezionati, studiati per funzionare su numeri esorbitanti, scientemente pieni zeppi di rimandi a mondi alternativi, antagonisti, paralleli, chiamateli come volete, e se vi piacciono è assolutamente normale e comprensibile, ma non è per i motivi che credete voi.

ascoltando l’incredibile profondità e la maturità autorale di Sabrina Salerno in Boys

La sensazione è che, storditi da anni di rivoluzione liquida, in cui quintalate di musica ci sono piombati addosso con uno schiocco di dita, nel tempo di un clic, abbiamo perso buona parte della nostra coscienza critica: non siamo più in grado di distinguere il bello dal brutto, ciò che è nostro da ciò che è altro, saltiamo al di qua e al di là dello steccato senza rendercene conto e per dare un senso a questo caos generalizzato cerchiamo di ricondurlo in una cornice di rassicurante familiarità. Il rischio di questo che è un vero e proprio processo più o meno inconscio di ricostruzione di una identità musicale, è quello di attribuire valore a prodotti che valore non ne hanno neanche lontanamente e al tempo stesso tralasciarne altri che, invece, sarebbero più affini ai nostri gusti reali, alla nostra esperienza musicale, al nostro vissuto.

Dovremmo fermarci e tirare un po’ il fiato, cercando di ragionare su cosa davvero certi prodotti incarnino, ovvero i tratti di un insopportabile conformismo e di un conservatorismo che, invece, la musica e gli artisti che amiamo hanno sempre cercato di combattere con tutta l’energia creativa del mondo e che ora è importante tornare a ricercare.

Young Signorino è solo l’ultimo dei guilty pleasure che non volete ammettere.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati