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Back In Time

Una connessione tra il passato e presente: i 25 anni di “In The Aeroplane Over The Sea”, quando i Neutral Milk Hotel inventarono l’Indie-Folk

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Gli anni ’90 sembrano così distanti, paragonati alla modernità musicale. Un’epoca in cui potevano succedere (e sono successe) talmente tante cose assurde da lasciare poco margine a sorprese future. Accadeva ad esempio che un gruppo di ragazzi della Louisiana, uno dei tanti contesti di provincia dove chi cercava e provava a produrre musica risultava una mosca bianca, riuscisse a creare una propria identità musicale letteralmente dal nulla, immaginando un abbraccio tra la musica indie sporcata dal ciarpame punk dell’adolescenza e la grande tradizione folk americana, identità che generò “In The Aeroplane Over The Sea“. Un lavoro che avrebbe aperto la strada alle generazioni di artisti indie-rock e alt-folk a venire, a cominciare da Okkervil River, Microphones, Sufjan Stevens, Arcade Fire, Decemberists. Menzione speciale per Bob Hardy dei Franz Ferdinand che confessa di aver consumato la cassetta nella sua Ford Fiesta i primi due anni di patente.

A spiegare questa influenza generalizzata è anche l’hype pazzesco che quel disco era riuscito a raggiungere tra la fine degli anni zero e l’inizio degli anni ’10, dovuto soprattutto alla brusca frenata della carriera dei Neutral Milk Hotel: il frontman Jeff Mangum aveva sofferto eccessivamente l’accresciuta popolarità al punto da chiudersi a riccio e non voler sentire parlare della sua musica per un po’ di tempo.

Non credo ci fosse qualcosa di voluto o studiato a tavolino in tutto questo. Fatto sta che una volta digerito il malessere e fatto pace con la sua esperienza, e cioè intorno al 2013, il buon Mangum ha pensato bene di richiamare Julian Koster  ( banjo e sega musicale), Jeremy Barnes ( batteria, fisarmonica e tastiere) e Scott Spillane (fiati vari), più altri turnisti tra cui sua moglie Astra Taylor, per una bella serie di concerti in giro per il mondo ed appagare quei tantissimi giovani e giovanissimi che, come il sottoscritto, non avevano avuto modo di assistere alle loro esibizioni 15 anni prima.

Per il modo rocambolesco in cui riuscii ad entrare (all’ex-Macello di Padova, location splendida e purtroppo non più sfruttata come all’epoca, non solo in ottica-concerti), per l’intensità della prestazione musicale, per i fattori climatici e per l’entusiasmo collettivo, credo di poter dire che quello dei Neutral Milk Hotel a Padova il 4 giugno 2014 sia stato il più bel concerto della mia vita, e – ne sono abbastanza sicuro – non solo per me. Ci andai praticamente da solo, facendo giusto qualche chiacchiera col ragazzo che mi aveva venduto il biglietto in surplus all’ingresso, e rimasi colpito dall’osservare che, a differenza di tante reunion e revival, l’età media era veramente bassa e i ragazzini superavano di gran lunga i quarantenni nostalgici: quella musica, a più di quindici anni dall’uscita dal disco, non solo si era mantenuta fresca e attuale ma era stata assimilata dalla generazione successiva ben più che dai coevi.

Di fatto, “In The Aeroplane Over The Sea ha il raro potere di essere un disco sospeso nel tempo, similmente ad un disco italiano uscito poco tempo prima (“Linea Gotica” dei CSI, altro disco dal potere incommensurabile dal vivo e in bilico tra gli anni ’40 della seconda guerra mondiale e l’attualità). Il disco di Mangum & co ha in sé una dolce e stabile aura malinconica che sembra evocare ambientazioni oggi non più esistenti, facendoci percepire quella famigerata connessione psichica tra Jeff Mangum e Anna Frank che sta alla base del concept. È difficile da descrivere a parole, è come se si scambiassero continuamente il ruolo di narratore fino a diventare una persona sola e indistinguibile (e quel momento è Oh Comely, il pezzo più lungo, drammatico e toccante dell’intero disco).

Ma alla base di una tale pietra miliare non c’è solo l’innegabile ispirazione di Mangum. Sono le scelte musicali la chiave per aprire le porte della percezione, con semplici accorgimenti. Intanto, la prima cosa che riconosce un ascoltatore attento è l’ossatura cantautorale di tutti i pezzi, basati su pochi accordi, tutti suonabilissimi con la chitarra acustica (dovrebbero saperne qualcosa i miei vicini, visto che uno dei miei passatempi preferiti durante il lockdown era suonare il disco per intero). Questo costituisce la base folk, che rende il disco costantemente melodico e mediamente orecchiabile. L’originalità è stata ottenuta addizionando a questa radice tradizionale una ricerca sonora molto variopinta e distorta al bisogno, pur evitando contrasti troppo marcati. Se ci fate caso, in questo disco dei Neutral Milk Hotel la chitarra elettrica è totalmente bandita, scelta più unica che coraggiosa, le distorsioni vengono appoggiate sul basso e le parti soliste affidate alla tromba di Spillane oppure alla sega di Koster, senza la quale la title track In The Aeroplane Over The Sea avrebbe perso parte della sua magia, derivante per l’altra parte da un testo ispirato e accogliente come un abbraccio prolungato.

In produzione al disco c’è Robert Schneider, amico d’infanzia di Mangum e perno del collettivo Elephant 6 del quale i Neutral Milk Hotel sono solo uno dei vertici raggiunti. È lui il ‘tecnico’ grazie al quale la ricerca di Mangum di un suono il più possibile originale e al tempo stesso aggraziato viene sublimata, è lui a gestire le assurde distorsioni (suonando in prima persona il basso e altre parti minori) su tutti gli strumenti che accompagnano il frenetico upbeat di Holland 1945, una esperienza ossessivo/riflessiva  nella quale i pensieri di Anna e Jeff si intersecano fino ad una chiusura comune:

And it’s so sad to see the world agree
That they’d rather see their faces fill with flies
All when I’d want to keep white roses in their eyes.

Quel 4 giugno era una giornata di inizio estate incerta, fresca e piovosa a tratti, come se ne vedono sempre più raramente, purtroppo. Una lieve pioggia accompagna l’inizio del concerto, fino a diventare un vero e proprio scroscio all’avvio della parte 3 di The King of Carrot Flowers. Solitamente è il momento in cui si comincia ad aprire gli ombrelli e a coprirsi, allora non fece altro che acuire l’esaltazione generale con la complicità del crescendo della parte 2. Cominciammo a ballare come poche altre volte nelle nostre vite avremmo fatto, con pura gioia e convinzione.

Le due ragazze davanti a me, coi loro capelli bagnati svolazzanti, talmente felici da non accorgersi di essere fradice, sono il più bel ricordo di quella sera, assieme all’incredibile prestazione vocale del barbutissimo Mangum su Oh Comely e alla voce stridulina di Koster che a fine concerto ringrazia tutti: “Thank you so much for staying out in the rain”. Vecio, una polmonite magari tiene a letto due settimane, ma quelle due ore di musica ti restano addosso tutta la vita.

PS: Abbiamo posto l’accento sul fatto che questo disco è il punto di partenza di un genere nuovo, denominato Indie Folk. Alcuni amanti delle definizioni potrebbero storcere il naso di fronte all’accostamento. Sulla parte Indie c’è poco da discutere, il modus operand del collettivo Elephant 6 parla da solo. Ma cosa prova in maniera inconfutabile che questo sia un disco folk? Folk è musica popolare, è la capacità di far cantare tutti insieme attorno a un fuoco, o abbracciati al bancone di un bar. Ed ecco la dimostrazione pratica: questo improbabile quanto riuscitissimo karaoke dell’intero album, registrato da un gruppo di pazzi a San Diego, CA, nel 2019. Come in tutti i karaoke che si rispettano, per ogni pezzo un’esibizione diversa, e c’è quello che canta serio, quello bravo che sa imitare alla perfezione il cantante, quello che canta sottovoce, quello che si mangia le parole. E su ogni pezzo tutti cantano insieme appassionatamente.

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