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I Fiumi – I Fiumi

2023 - Dischi Soviet Studio
alternative rock / post punk / new wave

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Tracklist

1. Il dono

2. Questi giorni

3. In fondo all'incendio

4. Caterpillar

5. I Fiumi

6. Quanto più rumore

7. Non dorme

8. La festa

9. Quello che serve

10. Muta


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Parto da quella che potrebbe essere la fine della recensione, essendo io bastian contrario di natura. Nella musica “a parte”, anzi, proprio alternativa ché oggi c’è un gran bisogno di chiamarla in questo modo, italiana è venuta a crearsi una voragine che sembra di giorno in giorno sempre più profonda e a riempirla ci va del bello e del buono, si fa persin fatica, eppure è possibile. In questa possibilità, nella sua volontà, stanno dischi come “I Fiumi

A far fluire l’acqua il gruppo chiamato alla bisogna è composto da veterani che quella musica di cui sopra l’hanno costruita a costo di mettersi di traverso, anzi, proprio per necessità lo hanno fatto creano realtà decisamente nuove a queste latitudini. A capo del quartetto c’è Sarah Stride, voce in area Cramps (l’etichetta leggendaria, ovvio), Xabier Iriondo e Andrea Lombardini che oggi condividono lo spazio nei deflagranti Bunuel e Diego Galeri, motore ritmico dei Timoria. Di base quando si ha a che fare coi cosiddetti “supergruppi” il rischio d’inciampo è circa del 99%, per fortuna resta quel punto percentuale a salvare il culo a tutti, soprattutto a chi ascolta e alle sue aspettative.

Il bello di riesumare le sonorità alternative rock più sotterranee è quello di respirare di nuovo aria pulita mentre tutto attorno si addensa lo smog del piattume generale e dell’immobilismo, ma ripetersi è un attimo. Non accade a I Fiumi, che hanno la capacità di rinverdire un suono, farlo moderno senza buttarlo flat o retromaniaco e basta. Fanno tanto i testi in poetica estensione, d’altronde chiamata in causa mutuando il nome da una poesia di Ungaretti, con l’arte affatto illusoria di Stride di farla materia di ogni giorno pur non scadendo nell’ovvio, mai. La title track è quotidianità in versi toccanti e già subito è chiaro il senso non comune delle cose, come l’elenco delle parti del corpo e ciò che c’è oltre in Caterpillar. C’è poi tutt’attorno una cordata acida tirata dalle sei corde di Iriondo che, con artistica maestria, si fa contraltare distorto della piena soavità del canto (prendete una sacra triade Battiato-Cevolani-Di Marco), sostenuta dai bastioni ritmici, possente e precisi.

Ci sono infestazioni post-punk materiche come Quanto più rumore e il rituale tribale-urbano che sorregge Non dorme lanciata a propulsione da un pre e un chorus che più che giganteschi non si possono definire. Quando poi l’acido sommerge tutto si palesano Questi giorni, l’allucinata La festa (tagliata a metà da: “Vendiamo gli ultimi ai miserabili alle cause perse/Ai tuffi altissimi, ai letti scomodi, alla paura sopra le giostre”, che sembra di prendersi un treno di realtà dritto in faccia che finisce con un brindisi a capire da che parte stare) a chiudersi su una botta rock da chilo e la ferale Muta, un chiodo “punk” tirato in mezzo alla fronte di melodie quasi sciamaniche. Lo strazio della guerra di Quello che serve scava un solco, ne parla in modo dolce e feroce, espanso tra suoni aperti e abissali.

Tornate all’inizio della recensione e chiudete la porta. Rimettete su l’album. Ricominciate tutto da capo.

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