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slowthai – UGLY

2023 - Method Records / Interscope
alternative rap

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Tracklist

1. Yum
2. Selfish
3. Sooner
4. Feel Good
5. Never Again
6. Fuck It Puppet
7. HAPPY
8. UGLY
9. Falling
10. Wotz Funny
11. Tourniquet
12. 25% Club


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“UGLY”: U Gotta Love Yourself. Così il rapper 28enne originario del Northampton, conosciuto con lo pseudonimo di slowthai (Tyron Kaymone Frampton) ha deciso di intitolare il suo terzo album, dopo il rumorosissimo esordio “Nothing Great About Britain” (2019) ed il personalissimo intermezzo “Tyron” (2021).

“UGLY” non è un disco rap. Non è un disco punk. Non è rock, non è alternative. Lasciategli la definizione che preferite una volta ingerito tutto, perché è allo stesso tempo rap, punk, rock, alternative e molto altro, allo stato più evoluto. L’album è stato anticipato dai singoli Selfish (per il quale videoclip l’artista si è fatto chiudere in una stanza circondata da vetrate per circa 8 ore, come esercizio di pazienza e riflessione interiore), traccia a tinte più oscure e Feel Good (videoclip altrettanto fantasioso in cui l’artista seleziona alcuni fans e incombe nelle loro case a sorpresa mentre questi ascoltano in anteprima il singolo, suscitando reazioni di sorpresa, di incredulità, di gioia, in cui tutti iniziano a ballare insieme al folle rapper), che risulta la traccia più euforica del disco, vantando la presenza della rapper britannica Shygirl.

UGLY” è il risultato del processo di maturità umana e artistica del rapper, delle azzeccatissime collaborazioni scelte, del sempre più crescente pubblico che abbraccia generi vari e diversi, proprio com’è lui. Vario e diverso nel descriverci la sua vita e il suo passato fatti di abuso di sostanze e di alcol, lotta ai problemi mentali, la fama che travolge, le aspettative, i pensieri rivolti alla madre, quelli rivolti alla società, al consumismo, alla superficialità dei rapporti, all’amore e all’odio verso se stessi. Non si può parlare di un disco come questo senza analizzare davvero a fondo ogni singolo testo smontando e rimontando i pezzi e slowthai sa bene che ogni sua parola è un colpo che va dritto a segno, in qualunque parte noi desiderassimo farlo andare. E allora mettiamo su questo album.

La traccia iniziale, Yum, è uno degli intro più soffocanti, perversi, brillanti che siano mai stati concepiti negli ultimi tempi. Una parte iniziale fatta di respiri, di parole pronunciate a ripetizione, un’inutile seduta di terapia (“breathe, breathe, breathe“) dovuta alla mancanza di motivazione, per poi sfociare in una martellante e oltraggiosa parte centrale (“more coke, more weed, more E’s, more trip, more evil”) che libera una forza inaudita, per andare ad esplodere e scaricare sulle caotiche battute finali in cui i respiri sono sempre più pesanti e parte il mantra “inhale, exhale” fino al disperato grido che chiude il pezzo. I suoni opprimenti e noiseggianti si sposano alla perfezione con la cattiveria di questi 4 minuti che ci introducono nella mente contorta di un’artista che non ha mai nascosto il suo disturbo da ADHD, le sue dipendenze e la sua insofferenza, ma che darebbe qualsiasi cosa per un sorriso nei momenti più bui, come ci rivela nella traccia Happy. E nella stessa traccia ci ricorda che è okay piangere ed è okay avere attimi in cui si vorrebbe scappare via, lontano. Ma sappiamo noi definire quanto lontano si può arrivare, scappando da quel buio? Qual è il limite?

Probabilmente saperlo è al di fuori del nostro controllo, come suggerisce la traccia successiva Ugly, che non è solo la title track ma anche il frutto della collaborazione con la band irlandese Fontaines D.C. Il mondo è brutto”, non fa altro che ripetere, “siamo solo marionette all’interno di una simulazione” e non vi è alcun appiglio, niente a cui aggrapparsi. Soltanto la musica, forse, ci salverà. Perché, come recita la parte finale, le persone più belle sono quelle che agiscono in modo più orribile. Non mancano pezzi più riflessivi sullo stile di Tyron, come Never Again (che si avvale dell’intro del giovane artista britannico Ethan P. Flynn) o come Tourniquet, che sul finale sfocia di nuovo in quel grido disperato dell’incipit del disco ma che ha un sapore rassegnato, stanco della perenne lotta con se stesso e con gli altri (“you can have everything, you can take everything, take it all and leave”).

Ma è l’amore, per sé e per gli altri, quello di cui slowthai ha così bisogno e la condizione statica delle cose è un tormento. Noi viviamo per e in divenire, non per restare passivi allo scorrere del tempo. E la traccia finale di questo viaggio, 25% Club, è il segno che qualcosa in questo percorso è mutato. “You are my sunshine”, pronunciato da una voce femminile, ed è così che parte l’inizio della fine, una ballad quasi romantica e sognante che entra in eccepibile contrasto con il resto del disco e consente di tornare a respirare, sospirare e sperare. Non c’è più spazio per il dolore, per la mancanza, per il male. Andiamo in frantumi, sì, ma possiamo sempre provare a rimettere insieme i pezzi e ricominciare, ancora e ancora e ancora. E come un ciclo, la negatività ritornerà a bussare e allora noi saremo pronti a metter su questo disco e ad urlare, cantare, ballare, saltare, lanciare cose (si consigliano oggetti piccoli e non appuntiti) in giro per casa, arrabbiarci, sederci, riflettere e annullare noi e gli altri.

La cosa bella è che slowthai è uno di noi ed è destinato a restare. La cosa brutta, non come questo album che è l’esatto opposto del titolo, è che finisce troppo presto. Proprio come tutte le cose belle. E va bene così. 

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