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Kerala Dust – Violet Drive

2023 - Play It Again Sam
downtempo / krautrock / rock

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Tracklist

1. Moonbeam, Midnight, Howl
2. Violet Drive
3. Shake (Intro)
4. Red Light
5. Pulse VI
6. Jacob’s Gun
7. Salt
8. Still There
9. Nuove variazioni di una stanza
10. Future Visions
11. Engels Machine
12. Fine della scena


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Ok, sono assolutamente tranquillo e, soprattutto, nelle mie piene facoltà mentali. Il fatto è, vedete, che ogni tanto capita di sentire dischi che ti fanno sentire come sotto effetto di svariate tazze di caffè. In perpetua fibrillazione. Trance agonistica. È la solita vecchia storia. Musica. La Musica! Quella che ti fa dimenticar tutto, noie, ansie, scazzi, giornate che non passano mai e persino l’appuntamento dal commercialista il lunedì subito dopo pranzo. Forza sovrannaturale che ti prende, ti solleva e ti trascina via.

Questa volta la colpa è di Edmund, Harvey, Lawrence, ossia i Kerala Dust. Sì, Kerala Dust. Data di nascita: 2016 Luogo: Londra Influenze: cabaret dadaisti, taxi newyorkesi, velluti sotterranei, stalli alla messicana su scenari western e fumosi locali notturni sulle rive del Severn. “Violet Drive”, seconda fatica discografica di questo interessante trio inglese, esce a 3 anni di distanza dal precedente “Light West”, un disco che già si era fatto notare all’attenzione dei più attenti. Lo ammetto, non ero tra questi. Mea culpa. Capita. Io e i Kerala Dust ci siamo presentati e conosciuti solo in questi giorni, ma la confidenza del nostro rapporto sta crescendo esponenzialmente di giorno in giorno.

Rock psichedelico che si mischia al tex-blues che si mischia alla deep house e che tutti assieme si mischiano appassionatamente al trip hop e al krautrock di Can e amichetti vari. La partenza è con Moonbeam, Midnight, Howl, un riff, un giro di basso, una voce scazzata e dopo 60 secondi abbiamo già la testa che si muove a destra e a sinistra. Non cesserà di farlo fino la fine. Un crescendo funk che ci ipnotizzerà fino a sfumare sul finale.  Pregevole anche il video. Violet Drive, traccia numero 2, una delle canzoni migliori del disco. Trascinante, ipnotica, letale. E siamo solo all’inizio. Non oso pensare.

Dopo il breve intermezzo di Shake, la successiva Red Light prosegue tra nuove sonorità trip hop, fraseggi chitarristici velati di blues e una voce che continua sorniona, ma è su Pulse VI che mi soffermo e mi prendo la briga di citare Leo Di Caprio in Django Unchained,”…ok Edmund, Harvey e Lawrence,…avevate la mia curiosità, ma ora avete la mia attenzione!”. Il cantato continua ad essere essenziale anche nelle tracce successive, mentre loop, battiti in levare e suoni sintetici fraseggiano tra di loro in perfetta armonia. Salt vede il suono del sitar prendere il sopravvento in un incalzare cadenzato, ipnotico. Nuove variazioni di una stanza, è il pezzo strumentale che arrivati a questo punto non ti aspetti. O quantomeno che non mi aspettavo io. Loop in stile “Fuga da New York” di carpenteriana memoria come base ad una delle tracce più introspettive dell’intero album.

Future Visions ci riporta nei sobborghi di Bristol e nelle trame francesi di certi tocchi in stile Air. Non posso che apprezzare. E infine arriviamo a Fine della scena, ultima traccia di un disco che certi intelluattoloidi si sbrigheranno a definire come niente di nuovo e un po’ come la solita vecchia storia di una band che si ci ha provato, ma che alla fine non c’è riuscita. Me li vedo già.

Voi non ascoltateli. Anzi, ascoltatevi e riascoltatevi questo disco, che è molto meglio.

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