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Thomas Andrew Doyle – ABERRANT

2023 - Autoproduzione
drone / noise

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Tracklist

1. Clairvoyant Witness

2. Icosahedral Symmetry

3. Macrodimensional Portal

4. Vast Unknown

5. Probabilities

6. Disintegration Rites

7. Rituals Enigmatic

8. Ultima Thule

9. Charon Light

10. After Storm Ideation


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Della compagine grunge originaria s’è detto di tutto e di più ma, col tempo, ci si è sempre e solo concentrati su quella che “ce l’ha fatta”, almeno per quanto riguarda il riconoscimento del grande pubblico. Per fortuna non siamo in pochi (ma nemmeno tanti quanto dovremmo) a ricordarci anche quei gruppi che non hanno sfondato il tetto ma comunque hanno segnato un certo tipo di suono, soprattutto rumoroso.

Tra queste band ci sono i TAD, la seminale creatura che prende il nome dal suo frontman Thomas Andrew Doyle, e chi ha avuto la fortuna di essere al Bloom di Mezzago una sera di novembre del 1989 lo ricorderà non bene, di più (e a me non resta che invidiarli). Se già gli autori di capolavori che un tempo avremmo definito alternativi come “8-Way Santa” e “God’s Ball” hanno scolpito il proprio suono in obliquo alla narrazione generale, lo stesso Doyle, dopo lo scioglimento del gruppo, è andato ancor più “fuori strada” rispetto a quanto fatto fino a quel momento, andando a pescare nelle zone più buie di certo metal di derivazione fangosa e oscura, basti pensare ai progetti Lumbar e Brothers Of The Sonic Cloth (che hanno attirato le attenzioni di etichette come Southern Lord e Neurot, mica cazzi) che però sono rimasti lampi nel buio, arrivati e andati nel giro di un disco appena. Una scelta che rende ancor più importante il lavoro non serializzato, che in un mondo come questo è una primizia non di poco conto.

Definire Tad un artista intransigente è dir poco. Ha rifuggito e ancora rifugge l’attenzione ipocrita di un pubblico volubile che corre appresso a questa o quella moda (siamo infestati da progetti “post punk” che di post punk non hanno alcunché se non la ripetizione pedissequa di certe sonorità che li rende, in pratica, fuffa ben venduta) e nel farlo dissemina la propria discografia di mostri ogni volta differenti, ognuno immerso in un proprio mondo e una realtà che si distingue dalle precedenti e di certo dalle successive. “ABERRANT” è la prima di quattro uscite previste per quest’anno e getta le basi per ulteriore alienazioni in tal senso.

Il suono che si snoda in questi dieci brani è sicuramente perfettamente adeso al nome sotto cui vive e prolifera: amniotiche dissertazioni ambientali che si espandono in uno spazio angusto fatte di onde sintetizzate e totalmente oscure. Le lunghe composizioni non conoscono pace né pausa, si sviluppano in orizzontale accumulando sensazioni liquide, melodie rarefatte prive di appoggi ritmici che danno adito a un rituale fantasma, come un OM cantato da automi incastrati tra realtà e bordoni infiniti, droni incorporei che acquisiscono forma giusto per perderla un attimo dopo a causa dell’introdursi di digressioni noise tra misticismo alieno e umanità che va perdendosi di minuto in minuto, con la scuola O’Malley/Anderson (e Ambarchi, perché no) come nume tutelare, il tutto fritto da elettricità ad alto voltaggio innestata senza sforzo nella struttura geometrica di forma extraterreste.

Di certo c’è solo che per essere iniziati a questo album dovrete già aver aderito ad un culto dronico senza nome ma che affonda nelle sabbie del tempo. Per chi invece necessitasse di chitarroni e grida bisognerà attendere altro.

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