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Interviste

Come ritrovare un vecchio amico: intervista ai Van Pelt

Sono ritornati dopo 25 anni da “Sultan Of Sentiment“, uno degli album simbolo dell’epopea dell’emo. Con il nuovo disco “Artisans & Merchants” (qui la nostra recensione) i Van Pelt si scoprono nuovi, rinnovati in un sound che affonda comunque le radici in un passato che non si può dimenticare. Un disco intenso, intriso di nostalgia e ricordi, ma anche di consapevolezza e serenità, a segnare forse l’inizio di una nuova epoca musicale. Ne abbiamo parlato con Chris Leo, storica voce della band newyorchese.

Siamo molto contenti del vostri ritorno in scena: ‘Artisans & Merchants’ è il vostro primo album da 25 anni a questa parte. È d’obbligo chiederti cosa avete combinato in questi anni e cosa vi ha spinto a tornare a fare musica.

25 anni sono davvero tantissimo tempo. In realtà non abbiamo (quasi) mai spesso di suonare, anche se con band e progetti diversi rispetto ai Van Pelt. Nel 2014 poi l’etichetta catalana La Castanya ha ristampato i nostri primi due dischi e stampato per la prima volta il nostro terzo album “Imaginary Third“, fin lì inedito. Abbiamo organizzato un piccolo tour tra Italia, Regno Unito e Catalogna, e considerato che viviamo tutti abbastanza lontano abbiamo scelto lo studio di un amico, Manuele Fusaroli, a Ferrara, per fare le prove. È lì che abbiamo capito che eravamo ancora un gruppo e che per noi era davvero impossibile non scrivere musica nuova. Ed eccoci qui.

Ho sempre pensato alle canzoni di Van Pelt come a un percorso in bilico tra minimalismo ed emozione, e anche il vostro nuovo album mi sembra rispecchi questi tratti. Com’è stato ricominciare da capo dopo una lunga pausa? Ti sei ritrovato come eri rimasto o ti sei scoperto “nuovo”?

Entrambe le cose. Da un lato, quando noi 4 suoniamo insieme siamo sempre i Van Pelt. Dall’altro lato, però, riprendere è stato diverso, abbiamo barattato l’emozione della gioventù con un po’ di saggezza. Inoltre, non siamo più legati ai nostri strumenti come lo eravamo negli anni ’90, non siamo legati all’idea che ogni singola canzone debba per forza nascere da un riff. Oggi, una canzone dei Van Pelt può prendere vita da chiunque di noi 4, da qualsiasi idea, strumento o suono.

Sento che il tuo disco è permeato da un lato da una forte nostalgia per i tempi andati, dall’altro dalla consapevolezza che il tempo è inevitabilmente andato avanti e che dobbiamo guardare all’oggi e al domani con serenità: quali sono i sentimenti che hanno ispirato il massimo nello scrivere ‘Artisans & Merchants’?

Esatto. Devo dire che durante i vari lockdown mi sono sentito molto fortunato. Avevo un negozio di vino che continuava ad essere operativo, un figlio piccolo e, guardandomi allo specchio, vedevo un uomo pronto ad una metamorfosi. Era il tempo di guardare sia al passato sia al domani. Penso quindi di avere la capacità di affrontare il passato senza venirne travolto. Voglio dire che ho messo il passato nel presente e il passato ha aggiunto colore sia al presente che al futuro.

Ascoltando le vostre nuove canzoni non posso non notare una certa predominanza dei testi, che spesso assumono sicuramente un ruolo di primo piano. Possiamo dire che il vostro nuovo disco abbia una maggiore attitudine al songwriting rispetto al passato? Come è cambiato il tuo modo di scrivere canzoni, se è cambiato?

Direi che il mio modo di scrivere i testi sia cambiato di pari passo come io sono cambiato come persona. Quando ero giovane mi piaceva tantissimo essere il classico rompicoglioni che faceva partire un incendio solo per vedere la reazione della gente. Oggi il mio cuore non è cambiato, ma mi sento molto più gentile. Voglio sempre colpire con i miei testi, ma sono più paziente, quello che mi interessa maggiormente oggi è partire cercando un vera connessione con le persone.

van pelt artisan merchants

Il vostro primo singolo Punk House suona come una grande riflessione sulla vostra carriera, su cosa avete fatto e cosa avreste potuto fare. Come è nata questa canzone? C’è qualcosa che se potessi tornare indietro cambieresti nella tua vita artistica?

Siamo ancora qui a quasi 30 anni dalle nostre prime note in sala prove. Abbiamo amici dappertutto, suoniamo essenzialmente come vogliamo e abbiamo vissuto una vita assieme, non solo in ambito musicale. Quindi no, mi tengo volentieri tutti i colpi di scena di questi anni.

Avete scelto di lavorare con Jeff Zeigler: come è nata questa collaborazione e com’è stata questa esperienza discografica?

Lui è un amico da molto tempo. Ho registrato con lui un sacco di pezzi già nel 2000 quando con Matador stavamo per pubblicare un disco dei The Lapse, la mia prima band dopo i Van Pelt. Purtroppo poi Matador ci ha abbandonato prima di stampare il disco e per me è stato davvero naturale riprendere con Jeff proprio dove ci eravamo lasciati.

Nel vostro ultimo album ci sono i contributi di Nate Kinsella e Ted Leo: com’è stato lavorare con loro?

Bellissimo. Sono nostri amici da sempre e ci capiscono al volo, lavorare con loro in studio è stato naturale e spontaneo.

Quando hai fondato i Van Pelt, era il 1993, fare musica era molto diverso, eravate uno dei maggiori esponendit della “famiglia” emo. Come è cambiato il tuo approccio alla musica nel corso degli anni? Pensi che questa famiglia esista ancora oggi? 

Non ho davvero idea di quello che troverò nel mondo musicale odierno. Tutto è nuovo per noi, ma non vediamo l’ora di vedere questo nuovo mondo e di conoscere questa nuova generazione di artisti.

Siete pronti a partire per un tour in Europa. Cosa ti aspetti? C’è la possibilità di vederti anche in Italia nel prossimo futuro?

Durante il lockdown il tipico sogno di riposarsi sotto una palma, con una noce di cocco ripieno di rhum e i piedi affondati nella sabbia calda si è andato piano piano sbiadendo. Dopo due anni il mio vero sogno era farmi una birretta in un pub con un essere umano in carne e ossa. Quindi per prima cosa andremo in Inghilterra a rivedere un bel po’ di vecchi amici. Voglio solo questo! Sto inoltre aprendo un nuovo bar qui a Jersey City. Poi penseremo all’Italia: torneremo nel 2024…con un nuovo disco!

Concludiamo questa chiacchierata con alcuni dei tuoi album preferiti. Hai ascoltato qualcosa di nuovo ultimamente che vorresti consigliare ai nostri lettori?

Durante il lockdown ho ascoltato un sacco di Chet Baker, e sai che anche lui amava moltissimo l’Italia! Ma mi sono appassionato tantissimo anche a Claude Debussy, Jessie Ware, Lucio Battisti, Starfuckers, Al Stewart, Pharoah Sanders, i primi R.E.M. e gli U2, i Television (non solo “Marquee Moon”), Los Iracundos. Grace Jones, Hugh Masekela. Confesso poi che quando è morta Raffaella Carrà ho ascoltato tutti i suoi dischi, soprattutto le sue canzoni in spagnolo!

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