1. Noia
2. Vicino
3. Chiodo
4. Ancora
5. Polvere
6. Frigo
7. Domenica
8. Pillole
9. Altra Persona
10. Inizio
Gli oodal si sono formati a gennaio 2019 a Firenze, sancendo la loro unione sul palco del Circolo Il Progresso. Da lì – pandemia permettendo – è diventata pressoché incessante la loro attività live, nella quale propongono un repertorio formato da soli inediti, frutto dello scambio di idee e dell’apporto in fase compositiva di ognuno dei 4 membri. L’idea di base è quella di intraprendere un cammino musicale sulla strada dell’elettronica sfornata dai sintetizzatori, in grado di ricreare atmosfere dream-pop.
Dopo un lungo pellegrinare e qualche buon riconoscimento in contest di zona, a più di quattro anni di distanza arriva finalmente il momento di incidere un long, 10 pezzi in tutto, dal titolo “Due punti”. Il fulcro del progetto oodal è stato l’incontro con Andrea Ciacchini, uno che la scena indie la conosce bene avendo collaborato con Zen Circus e Motta, dal quale viene fuori un racconto esistenziale imperniato sulla volontà di fronteggiare un disagio interiore.
L’inizio postmoderno di Noia è ossessivo e rinchiuso in una bottiglia, un vizio derivante dal malessere. Un rapporto tormentato è il tema di Vicino, il primo singolo, sospeso tra il desiderio di autostima e l’inerzia che inevitabilmente fa perdere il controllo di sé. Lo scorrere del tempo è narrato in Chiodo, nell’incertezza che lenisca davvero le ferite, in una paura di vivere (Ancora e Polvere) che però diventa compagna di vita, quasi terapeutica. L’ipotetica seconda parte di “Due punti” inizia con Frigo, un riflesso di quotidianità il cui seguito ideale è Domenica. I tormenti di coppia tornano con Pillole e Altra persona, un tentativo di fuga da una realtà distorta e non genuina. La fine, in un ossimoro, è un lungo Inizio.
L’esordio degli oodal porta avanti un’idea – quella di raccontare la modernità attraverso il vivere quotidiano – in modo coerente e compatto. Sul piano musicale, correttamente la band si autodefinisce post dream pop, perché ne riprende gli stilemi ma li stravolge e li farcisce di nuovi elementi, su tutti un uso più deciso della strumentazione elettronica. E’ gradevole inoltre il contrasto tra il cantato languido e la cupezza dell’esistenza umana narrata nei testi.
E’ un merito per gli oodal intraprendere una carriera musicale nell’etereo universo shoegaze-dream-pop, a maggior ragione se lo stile è personale e riconoscibile. Sembra un genere di nicchia, confinato nelle nordiche isole dalle quali a vario titolo sono partiti i vari The Jesus and Mary Chain, Lush, My Bloody Valentine e Cocteau Twins. E invece no: è ormai da qualche anno che questo specifico filone alternative – in tutte le sue declinazioni – è oggetto di una riscoperta che nel nostro paese ha trovato pian piano una sua dimensione definitiva. Basti pensare agli Stella Diana, ai Rev Rev Rev, ai Clustersun e agli Human Colonies, solo per citarne alcuni.
L’aspetto più interessante del dreamy del terzo millennio risiede nel fatto che gli artisti citati non sono apprezzati solo in Italia, ma soprattutto a livello internazionale. Un giorno non molto lontano, chissà, alla ribalta – segnatamente anglosassone – potrebbero salire anche gli oodal.