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Interviste

Ritrovarsi lungo strade smarrite: intervista ai Bull Brigade

Il 2023 segna per i Bull Brigade un traguardo importante. Nel 2008 usciva infatti “Strade Smarrite”, album d’esordio divenuto un punto di riferimento per il punk italiano.

Dopo il ritorno in grande stile con “Il fuoco non si è spento” nel 2021 e il fortunato tour che l’ha seguito, si apre dunque un nuovo capitolo per la band torinese, che si prepara a celebrare l’anniversario con date dentro e fuori l’Italia e una remaster del disco in uscita per Motorcity Produzioni.

Strade smarrite” arrivava quindici anni fa con l’energia tipica degli album d’esordio, riuscendo a dipingere in maniera compiuta un quadro sociale con una precisa collocazione. Parliamo di Torino, della sua innegabile identità operaia, delle sue lotte politiche, dell’eterna rivalità tra Toro e Juve, con uno sguardo rivolto alle Olimpiadi Invernali che solo due anni prima promettevano di essere il trampolino per rilanciare la città.

Un’occasione di riscatto mai veramente arrivata, che lasciava il posto allo spirito di rivalsa che attraversa ogni traccia di “Strade smarrite”: un album che nelle sonorità dello street punk riusciva a calare rabbia giovanile, volontà di reazione ma anche capacità di raccontare con onestà il proprio passato e i propri affetti (per l’occasione, consigliamo di riascoltare brani come Sulla collina).

Di questi aspetti, cambiamenti lungo il percorso della band, evoluzione della scena punk italiana e tanto altro abbiamo parlato insieme al cantante della band Eugy.

15 anni di “Strade Smarrite”, ma anche 15 anni di storia di una band che è tornata nel 2021 con un lavoro del calibro di “Il fuoco non si è spento”. Se dovessi sintetizzare i cambiamenti più grandi per i Bull Brigade, cosa diresti?

Sicuramente è cambiata la nostra età. Dopotutto “Strade smarrite” aveva iniziato a nascere prima ancora dei Bull Brigade durante la mia esperienza in Banda del Rione. Già tra 2004 e 2005 avevo iniziato a scrivere i primi brani che poi sarebbero finiti là dentro. Da lì ha avuto inizio il meccanismo che mi portò in seguito a sciogliere i Banda del Rione, vista la mancanza di capacità di fare quel salto a cui aspiravo. Dovendo riassumere, al tempo di “Strade Smarrite” avevo 25 anni e il mio modo di vivere era differente; c’era ancora nella mia esistenza un punta di militanza, una voglia di “stare in branco” tipica di quell’età. A distanza di otto anni arrivò poi “Vità Libertà”, dove era subentrata una maggiore maturità ma soprattutto la consapevolezza di voler portare il progetto Bull Brigade a un determinato livello musicale. “Il fuoco non si è spento” infine è un disco composto ormai a 40 anni, con uno “smalto” diverso. A 40 anni molto spesso sei fuori dalle dinamiche giovanili, dalle sottoculture e dai movimenti che orbitano intorno allo stadio o dimensioni simili. E’ un disco sicuramente più di mestiere e mosso da una maggiore consapevolezza.

E all’esterno della band? Ci sono eventi “macro” che più di altri hanno impattato su di voi in questi anni, o ti hanno ispirato?

Come già accennavo, ci sono elementi che cambiano inevitabilmente con il tempo anche al di fuori di noi. Il fattore anagrafico influisce e ci porta a vedere le cose diversamente nelle varie fasi della nostra vita. Guardando alla musica ad esempio, sicuramente di fronte agli slogan di canzoni che ascoltavo a vent’anni provo ora  meno convinzione, forse anche alla luce dei risultati ottenuti da generazioni precedenti alla mia. Ma allo stesso tempo, credo sia comunque positivo vedere un ragazzino di vent’anni che grida slogan di matrice sociale o di classe piuttosto che ostentare semplicemente un capo di abbigliamento o un orologio. Ma è anche vero che ogni generazione attraversa epoche musicali diverse, si tratta di cambiamenti fisiologici.

“Strade Smarrite” resta un punto di riferimento per lo street punk italiano e non solo. Come hai visto evolvere questa scena in 15 anni dal punto di vista musicale?

Credo ci sia un grosso problema di ricambio generazionale. Mi sembra che siano piuttosto poche le band giovani che si affacciano al punk rock con qualcosa da dire. Parlo anche del pubblico: di solito l’età media è sopra i 30 ai concerti. Nel caso dei Bull Brigade, con “Il fuoco non si è spento” abbiamo provato ad andare verso pubblici differenti, aprendoci nuove possibilità con le sonorità dell’album. Tuttavia, credo che a prescindere manchi il fermento giovanile che animava la scena vent’anni fa. Se ripenso a Torino all’epoca, erano veramente tante le band punk, ognuna con la propria personalità e il proprio stile musicale.

Torino e la sua socialità avevano un peso fondamentale in “Strade Smarrite” (penso alle immagini evocate da pezzi come Birra o Costruito a Torino) e continuano ad averlo nelle vostre canzoni. Come la vivevi ai tempi, e cosa è cambiato oggi?

Torino continua ad avere un peso cruciale perché è da sempre la culla di tutti gli accadimenti che ci hanno portato ad essere quello che siamo. Ricordo la città ai tempi del liceo, tra cortei e manifestazioni, attivismo dei collettivi, concerti e giornate allo stadio. Non era ancora un città di studenti fuorisede; all’epoca era di fatto la città delle famiglie operaiei, dove le persone avevano un percorso di vita spessissimo legato alla Fiat e al suo indotto di centinaia di imprese sparse in tutta la provincia. Era forte la presenza della fabbrica, nella vita materiale di tutti i giorni ma anche nell’immaginario collettivo, e di conseguenza nelle nostre canzoni. “Strade Smarrite” arrivava tuttavia dopo le Olimpiadi invernali, in una fase storica in cui la città stava già mutando e perdendo questa identità.

A proposito di questo, mi ha colpito da persona “estranea” al contesto l’affermazione fatta nel video-documentario per Motorcity Produzioni per cui proprio le Olimpiadi “hanno segnato l’inizio della fine” per la città. Ti va di approfondire?

Tantissime risorse sono state distratte da quello che doveva essere il loro reale fine. Sono state costruite palazzine oggi vuote e sono stati sgomberati posti che per noi rappresentavano un punto di riferimento. La città doveva apparire in un certo modo per l’evento, e quest’ultimo avrebbe dovuto rilanciarla. Ma nei fatti, non è stato così: la nuova era di Torino basata sul turismo non è iniziata, e il vuoto lasciato dalla Fiat non è stato colmato. Si sono create aspettative che non state rispettate, pagandole a caro prezzo. Oggi forse l’unico indotto “turistico” della città è quello legato alla Juventus.

Nel video per Motorcity che abbiamo appena menzionato c’è spazio anche per il tuo approccio alla composizione. C’è qualcosa che è cambiato in questo processo?

È cambiato moltissimo. Il me dell’epoca era per certi versi molto più ostinato e ottuso: volevo avere un controllo totale su tutto, e un pezzo non era chiuso finché non suonava nella mia testa esattamente come dicevo io. Oggi ho imparato ad affidarmi di più a produttori e musicisti. Ad esempio, oggi riesco a scrivere a partire dalle proposte di qualcun altro: un chitarrista mi invia il pezzo e ascoltandolo entro in atmosfere che da solo non avrei creato. È  successo ad esempio con Strength for Life o Il Fuoco non si è spento, con Gigi che mi ha inviato il pezzo ed io che scrivevo il testo dopo aver ascoltato il brano in cuffia mentre andavo al lavoro. Insomma, ho imparato a fidarmi di più agli altri e della loro creatività.

Vi apprestate a imbarcarvi in un tour italiano ed europeo. Ci sono differenze che notate tra i vostri show qui e all’estero, ad esempio nel modo di essere del pubblico?

Da qualche tempo in Italia i nostri concerti sono parecchio partecipati, la gente canta molto e si instaura un vero e proprio feeling con il pubblico. All’estero molti stranieri sanno le parole, ma la dimensione è totalmente diversa, in termini di numeri e di feeling. Ovviamente spunta sempre anche qualche italiano, ed è qualcosa che fa piacere.

Restiamo nel mondo dei live. Come vedete la scena punk nostrana da questo punto di vista al giorno d’oggi? C’è vitalità a vostro avviso?

Credo che ci sia una certa vitalità, ma penso sia prevalentemente il frutto di un “ritorno di fiamma” degli over 30 che hanno raggiunto una certa stabilità di vita e riscoprono le passioni di un tempo. Un nuovo disco, una reunion di una band storica ed ecco che riemergono gli interessi di una volta. Allo stesso tempo, come già raccontavo manca il protagonismo dei ventenni, una nuova scena di ragazzi pronti a prendere le redini per far ripartire il tutto. Vorrei vedere 200 ragazzini sotto il palco, ma purtroppo non capita.

A proposito sempre di spazi e musica: negli ultimi anni l’Italia ha visto comprimersi soprattutto le realtà autogestite che avevano fatto “da casa” alla cultura punk. Credi possa essere un processo reversibile?

Non saprei dire se si tratta o meno di un processo reversibile. Sono venute meno le dimensioni in cui organizzare qualcosa, ed è abbastanza chiaro che questo comporta delle difficoltà. Guardando al futuro, bisogna capire se ci saranno nuove generazioni disposte a prendere in mano la situazione. Non mi sembra però che il punk “matchi” più con gli interessi delle nuove generazioni, che stanno portando avanti battaglie diverse e sono legati maggiormente ad altre istanze. Come dicevo anche prima, mutano gli interessi e non è una caso che siano i quarantenni a organizzare concerti in posti occupati.

Lascio questo spazio finale per un tuo messaggio a lettori e lettrici di Impatto Sonoro. Grazie di cuore per la tua disponibilità e le tue risposte alle nostre domande!

Il 15 aprile inizieremo con le nuove date di questo tour. Partiremo da Londra e Berlino e poi passeremo all’Italia con l’’Hiroshima Mon Amour a Torino, dove non abbiamo mai suonato. A questa si aggiungono la Santeria a Milano. il Covo a Bologna (già sold out) e Roma a Largo Venue. I biglietti stanno andando forte, consiglio di prenderli a chiunque voglia essere dei nostri. Grazie a te e a Impatto Sonoro per questa chiacchierata! A presto e ci vediamo per il tour di “Strade Smarrite”!

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