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“Shaking the Habitual”: l’ultima festa dei The Knife

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Welcome to Shaking The Habitual, the show. We are The Knife, and we are extremely forward to dance for all of you.
Because without you, my life wil be boooooooring!

Ci sono esperienze musicali che si chiudono nel modo più opportuno, dando il massimo per lasciare una traccia significativa per gli anni a venire. Dopo 15 anni esatti di carriera, i The Knife si sciolgono ufficialmente, pur restando musicalmente attivi anche insieme ( specialmente sotto lo pseudonimo di Fever Ray col quale Karin Dreijer è appena uscita con un nuovo, pregevole disco), non prima di aver lasciato ai posteri un ambizioso doppio intitolato “Shaking The Habitual ed averlo portato in giro per il mondo in una trascinante e bizzarra tournée, nella quale i The Knife manifestano la loro identità culturale, trasformandosi da duo elettronico a collettivo di intrattenimento che suona, canta e balla per un’ora e mezza abbondante su una travolgente tropicalia elettronica.

Per comprendere “Shaking the Habitual” bisogna fare un passo indietro. I The Knife hanno collezionato in tutto 5 dischi, dei quali il più significativo non può che essere “Silent Shout” (2006), col quale guadagnarono popolarità e soprattutto autorevolezza: “Heartbeats li aveva fatti conoscere, ma è stato lo spessore di un disco così algido e disturbante a conquistare la critica . Ripetersi allo stesso modo è qualcosa che nella loro carriera non è mai stato contemplato, e di fatto “Silent Shout” non ebbe un vero seguito: “Tomorrow In a Year”, quattro anni più tardi, è passato sottotraccia essendo un lavoro su commissione per uno spettacolo teatrale ed in coabitazione con altri artisti, eppure getta le basi per ciò che verrà tre anni più tardi. In un musical incentrato sulla figura di Darwin, Olaf e Karin fanno un intenso lavoro su effetti sonori che richiamino suoni naturali esotici, il che avrà effetti permanenti sulla loro musica: da una parte si legano a sonorità percussive tribali, dall’altra cercano un suono sempre meno elettronico e più acustico, non rinunciando affatto alla policromia della musica sintetica, anzi: arrivano a creare nuovi strumenti a partire dai suoni messi in campo in “Tomorrow in a Year.

Tre anni più tardi, arriva questo doppio di inediti che nasce con un inequivocabile intento politico. Olaf e Karin, in anticipo coi tempi, hanno le idee chiare sulle questioni di genere e coadiuvati da queste nuove scelte musicali a spettro ampio, vogliono portarle in musica senza darsi limiti: di fatto la metà dei pezzi sono vere suite elettroniche di lunghezza superiore agli 8 minuti. A Tooth for an Eye non è tra questi ma parte spiazzante coi suoi ritmi tribali indonesiani e un testo diretto su mali e disuguaglianze nel mondo; segue Full of Fire , 9 minuti tiratissimi di puro divertissement con testi esplicitamente a favore del mondo queer: un pezzo interminabile, dove la base cambia continuamente forma, quasi a voler creare un senso di fluidità attraverso la musica. A Cherry on Top rinuncia all’effluvio di parole dei due precedenti pezzi dedicando poche righe alla famiglia reale svedese e suonando spiazzante come Because The Night se fosse trasmessa dalla radio di Silent Hill. Without you my life will be boring è di fatto la title-track, pezzo più somigliante al passato del duo nel quale è presente ancora l’orecchiabilità dei loro primi successi, caratteristica sulla quale non hanno mai puntato seriamente pur avendola nelle corde.

Questo quartetto di pezzi così quasi varrebbe un disco, anche perché siamo già a mezz’ora di musica. E invece ce n’è ancora il triplo da ascoltare: in Wrap Your Arms Around Me Karin demolisce un orgoglio nazionale come gli ABBA (è lo stesso titolo della prima canzone da solista di Agnetha Faltskog) trasformando una canzone romantica in una torbida situazione di fornicazione, Raging Lung esalta ancora i tribalismi e l’elettronica non convenzionale su un testo più malinconico dei precedenti; il finale spinge ulteriormente sullo strumentale, con la trance di Networking e Fracking Fluid Injection che è figlia degli esperimenti di “Tomorrow in a Year”, solo che stavolta anziché esaltare i suoni della natura rappresenta le pratiche devastanti di estrazione del petrolio.

La massima esaltazione, più che dal disco, verrà dal Tour che ne seguirà. Un tour che ha fatto storcere il naso ad alcuni ed esaltato altri fan. Fino ad allora, i The Knife avevano nascosto la loro immagine pubblica, cominciando a suonar dal vivo solo con “Silent Shout” e celandosi dietro maschere ed oscuri visual. All’ultima tornata, hanno trovato un modo creativo di essere su un palco senza trucchi e senza essere in primo piano allo stesso tempo: sul palco non canta solo Karin e non suonano solo lei e Olaf, ma sono in 24 ad alternarsi nelle esibizioni. Prendono anche vita degli strumenti mai visti prima, come Il Cono, una sorta di multi-basso in legno di quercia e compensato disteso in orizzontale, più poco convenzionali forme di arpa, glockenspiel e batterie varie, disegnate dall’artista svedese Bella Rune e funzionali alla coreografia.


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Il risultato finale è stato immortalato nel film Live at Terminal 5, che è la riproduzione di un loro concerto a New York nel 2014. Una festa colorata e danzereccia, dove non si disdegna anche di ballare in playback (forse l’aspetto più coraggioso del live) e c’è tempo anche per monologhi sulla libertà del corpo. Dopo questo show trionfale, i fratelli Dreijer non hanno litigato, non hanno smesso di parlarsi o di lavorare insieme. Evidentemente, sentivano il bisogno di trasformarsi ulteriormente come fa Karin quando diventa Fever Ray, guardando al passato solo con orgoglio e non con nostalgia.

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