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Bad Pritt – Debris

2023 - Shyrec
neo classica / elettronica

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Tracklist

1. February 6th
2. February 7th
3. July 13th
4. December 28th
5. December 29th
6. May 9th
7. September


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Il 3 marzo è uscito “Debris” il nuovo lavoro di Bad Pritt per la label Shyrec. Spendo volentieri delle parole su Bad Pritt  in quanto, oltre al simpatico scioglilingua che subito mi ha fatto pensare ad una versione cattiva e meno sorridente e funzionale della famosa colla stick per bambini, è un progetto ampio di Luca Marchetto (ex-White Mega Giant) nel quale si percepisce una certa aderenza ad un’idea precisa: la trascrizione di qualcosa che emoziona nel profondo Marchetto.

L’album si pone come estensione concettuale di “Ep1” (pubblicato nel dicembre 2021) nel quale Bad Pritt affronta il lutto e tutto ciò che una mancanza porta con sé: smarrimento, oblio, impotenza. In “Debris” si fanno i conti con le rovine, appunto, con gli spazi enormemente dilatati e silenziosi che la perdita genera. Spazi nei quali, ad un certo punto del lavoro di necessaria scomposizione del dolore, si intravede una sorta di accettazione, vuoi per sopravvivenza o per reale capacità di gestione della perdita. 

A volte i grandi problemi sono solo la somma di tanti piccoli problemi di portata inferiore, ma il lutto no. Il lutto è una materia compatta che va ingerita e metabolizzata e per farlo ci vuole molto tempo, sempre ammesso che ci si riesca. Parlare quindi di brani all’interno di un album è riduttivo e vagamente vanitoso, come se per entrare nel vivo di una narrazione tanto intima e potente si debba scomporre un concetto per renderlo più comprensibile e avvicinabile. Come se chi scompone (non me ne voglia nessuno, sia chiaro) sappia riconoscere cosa in quel momento è accaduto nelle viscere di chi compone. Come se, con una certa saccenteria, io riesca ad interpretare brillantemente e coerentemente, quanto accaduto nelle date February 6th e February 7th (cito non a caso questi due brani perché sono stati i singoli che hanno anticipato l’uscita di “Debris”).

“Debris” non contiene titoli per i suoi brani, ma date. Sette per la precisione. Date nelle quali qualcosa all’interno dell’assenza è cambiato, facendo posto ad altro o crollando. Semplicemente. È un diario nel quale Bad Pritt annota stimoli, impressioni, momenti, passaggi determinanti. Ma il concetto che sorregge l’album (anzi, gli album) c’è e si esprime nei synth che distruggono la quiete, nei dialoghi delicati tra pianoforte ed archi, nella chitarra che non sembra nemmeno più una chitarra nei tempi lunghi che alterano lo spazio. Dall’inizio alla fine i temi sonori ricorrono e si rincorrono, a volte con maggiore sistematicità altre con minore. Ma ci sono e li sento, mi entrano dentro. Mi suonano dentro. Il pianoforte è emozionante e mi impone, fisicamente anche, un arresto.

Mi chiedo cosa avrà sentito Bad Pritt dentro di sé quando la massa pesante e oscura del dolore è crollata lasciando vedere cosa c’è oltre. Perché anche fisicamente qualcosa accade, il confronto con la perdita modifica irrimediabilmente il rapporto tra corpo e tempo-spazio. Interiore ed esteriore. È il tempo a determinare lo spazio, o almeno a influenzarne la sua percezione. Poche note, lunghe, a volte lontane plasmano l’idea di (un nuovo) spazio interiore nel quale taluni rifermenti sono da ricostruire.

Potrei stare a scrivere pagine e pagine su quanto “Debris” è un album bello, bellissimo anzi. Ma le parole non rendono giustizia alla meravigliosa e toccante fotografia della mancanza che Bad Pritt ha realizzato.  

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