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“Leaves Turn Inside You”, il testamento degli Unwound

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Nel 2001 gli Unwound decidono di fare il disco post-rock perfetto e con “Leaves Turn Inside You“, settima ed ultima loro fatica in studio, ci vanno davvero vicino.

Prima di entrare nello specifico di quest’immenso lavoro ci sono però due aspetti da considerare per capire davvero gli Unwound ed il percorso artistico e creativo che li ha portati a produrre un disco come questo. Il primo è più generico e riguarda il fatto che la band di Justin Trosper mosse i primi passi nella zona di Olympia, capitale dello stato di Washington, e seppur non fossero sicuramente l’unica band ad avere radici post-hc dalle loro parti, furono senza ombra di dubbio gli esponenti di maggior rilievo nei dintorni di Seattle, dove solo verso la fine degli anni 90 si incomincia ad aver un fermento maggiore e degno di nota. Nella prima metà dei nineties erano altre le sonorità che focalizzavano maggiormente l’attenzione e che influenzavano giovani nuovi rockettari, soprattutto evidentemente in prossimità della Emerald City. Questo è importante perché denota il fatto che il power trio non seguì mai le mode ed invece di mettere una camicia di flanella e salire sul “carrozzone” del fenomeno grunge, decise piuttosto di guardare da tutt’altra parte, ispirandosi a suoni più tipici della costa opposta o di altri lidi, orientandosi in particolare verso il sound della Dischord, al noise dei Sonic Youth ed in parte agli Slint.

L’altro elemento fortemente distintivo nella carriera degli Unwound è sempre stata la necessità di cambiare pelle ad ogni uscita; se dovessi infatti pensare ad una band in continua evoluzione e alla costante ricerca di nuovi stili, loro sarebbero senza dubbio tra i primi a venirmi in mente. Nella loro discografia non esiste un disco uguale all’altro. Non so se ciò accadesse in maniera naturale, per necessità artistica ed irrequietezza oppure forse per una sorta di regola interna decisa a tavolino, fatto sta che questa è stata costantemente un’impronta fortissima nel DNA di una band che, sbattendosene di dormire sonni tranquilli e di deludere fan presi bene e che magari avrebbero voluto in maniera un po’ stupida che il terzetto suonasse sempre uguale ai primissimi lavori, si sono sempre evoluti, in alcuni casi di poco, ma in altri in maniera molto evidente, disorientando probabilmente ad ogni uscita.

Nel 1998 gli Unwound fecero il balzo più grande dal punto di vista musicale, allontanandosi dalla loro già personalissima formula comunque avvicinabile a post-hc, post-punk e noise dei primi dischi, per ricercare con “Challenge For a Civilized Society” un suono più sperimentale, ricercato, psichedelico e tendente al post-rock. Ciò porterà in parte ad un ammorbidimento delle loro sonorità: alcuni spigoli verranno smussati, anche se non in modo eccessivo, ma più in generale gli Unwound si proietteranno verso una visione ancora più aperta a 360° sull’underground made in USA di quegli anni, pescando dal meglio del decennio precedente e combinandolo con la loro sensibilità. Il tutto viene perfezionato e reso in maniera sicuramente più coesa e a fuoco proprio in “Leaves Turn Inside You“, che esce ancora una volta per la fedelissima Kill Rock Stars.

Il risultato finale è strabiliante, perché raramente melodia, ricerca sonora ed energia, seppur incanalata in modo differente e meno immediata rispetto al passato, si sono contagiate e mixate in un una forma così riuscita ed affascinante. Nonostante i rapporti tra di loro risultassero al capolinea, ormai compromessi e logorati a livello personale da anni passati a stretto contatto e da dinamiche interne malate, oltre che dai problemi sempre più grossi di alcolismo del bassista Vern Rumsey, deceduto purtroppo nel 2020, i nostri fecero uscire un meraviglioso commiato come “Leaves Turn Inside You” e tutto ciò rende questo lavoro ancora più incredibile, perché malgrado i gravi problemi di cui sopra il disco è intriso di una consapevolezza assoluta dei propri mezzi ed è arricchito dall’esperienza dei dischi passati e da un livello di scrittura che rasenta l’eccellenza.

Tutte questo porterà alla gestazione ed al compimento di un disco complesso e quindi non immediato, molto lungo, con arrangiamenti che in alcuni punti risultano addirittura orchestrali, e con l’aggiunta di archi e tastiere che lo rendono ancora più colorato dal punto di vista sonoro, nonostante in contrapposizione la copertina sia grigia e scurissima, all’interno della quale quasi non si legge quasi nemmeno il loro nome.

Molte tracce portano con sè un senso di malinconia intrinseca e spesso hanno un andamento singhiozzante: a tal proposito sono emblematiche We Invent You, brano che apre il lavoro con il fischio iniziale che sembra voglia squarciare l’anima dell’ascoltatore, la sussurrata Look a Ghost, la coda strumentale della lunga, complessa e geniale Terminus, che da metà in poi con tanto di archi che fanno da sottofondo diviene una corsa sfrenata di chitarra, basso, batteria e che mette in luce l’impeccabile sezione ritmica. Oppure ancora la dolce Demons Sing Loves Song, lo psichedelico shoegaze di One Lick Less che ripropone i suoni carichi di feedback e riverberi dei My Bloody Valentine, il noise stralunato di October All Over o l’intensissima e strumentale Radio Gra, con un ottimo lavoro dei synth. C’è poi la vera perla del disco, nonché una delle loro vette artistiche: Below The Belt, introdotta da delle note di pianoforte sospese e la chitarra in delay, implode nella sua incredibile bellezza ipnotica e in una continua tensione, più o meno come insegnarono già gli Slint esattamente dieci anni prima.

December, Treachery, Scarlette ed in parte anche la più riflessiva Summer Freeze sono invece tracce più cariche ed ansiogene, che si avvicinano di più a quello che gli Unwound avevano prodotto in passato, con la chitarra di Trosper che disegna scenari poco rassicuranti, ma con l’aggiunta dell’elemento psichedelico molto più presente e non solo accennato. Anche la sinistra e sincopata Off This Century ripresenta nei suoi 5 minuti e mezzo alcune caratteristiche peculiari degli Unwound, oltre ad una forte componente emotiva e alla loro innata capacità di lavorare in maniera mai scontata e banale sulle dinamiche e sul ritmo e questo lo si deve principalmente alla batteria di Sara Lund, ritmicamente davvero molto valida, varia nelle soluzioni e soprattutto originale e personalissima nel modo di suonare, forse la loro vera arma segreta. Chiuderà il tutto in maniera circolare Who Cares, brano che riprende il riff portante del brano iniziale del disco.

Gli Unwound si scioglieranno l’anno dopo per poi riunirsi oggi senza ovviamente, ahimè, Vern Rumsey, sostituito dal Big Business Jared Warren, per una serie di date live, alcune anche nel vecchio continente sperando, come immagino sperino in tanti, che tocchino anche il nostro suolo.

Leaves Turn Inside You” non fu un disco rivoluzionario, ma fotografò bene il percorso creativo di una band che, nonostante le enormi difficoltà interne, ebbe la forza di portare avanti il suo incessante sviluppo creativo raggiungendo vette di rara bellezza ed intensità e lasciò come testamento un suono personale ed unico, quello che ancora oggi possiamo definire il suono degli Unwound.

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