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Hidden Tracks

HIDDEN TRACKS #26: Stian Westerhus, Jegong, SDH, Dor, KRE’U, Shrvl, Maya Ongaku, Ifryt

Hidden Tracks 25

Quanti brani ogni giorno, ogni settimana, ogni mese vengono pubblicati, ascoltati distrattamente e poi finiscono sepolti sotto un mare di altre uscite, a sgomitare per emergere e troppe volte divorati da pesci più grossi e più importanti? Questa è una delle tante domande esistenziali che ci poniamo ogni giorno in redazione, e a cui dopo alcuni tentennamenti e tentativi falliti abbiamo cercato di formulare una risposta.

Hidden Tracks vi accompagnerà periodicamente con i nostri brevi consigli riguardanti alcuni brani pubblicati in queste settimane e che riteniamo interessanti. Progetti da tenere d’occhio, di cui forse sentirete parlare nei prossimi tempi, provenienti in tutti i casi da quell’universo sommerso che più ci sta a cuore e che pensiamo sia giusto e stimolante seguire dal principio. In poche parole, la musica di cui non tutti parlano.

Stian Westerhus – Suffer And Behold

Che Stian Westerhus non ne sbagli una è ormai una certezza. I suoi ultimi due album “Amputation” e “Redundance“, poi, mostrano una crescita artistica ulteriore (senza contare quel che il chitarrista norvegese fa con gli Ulver, ovviamente) che porta dritti dritti a “SOTT“, album che vedrà la luce a settembre per House Of Mythology e anticipato da Suffer And Behold. Avete presente quello che stanno facendo i The Smile? Ecco, Westerhus lo fa meglio. Dieci volte meglio. Chitarre e bassi che stridono, voce postpunkeggiante, suoni che “escono dalle fottute pareti”, sofferenza trascinata e trascinante, melodie che scintillano alla tenue luce di un sole marcito da tempo immemore e il gioco è fatto.

Jegong – Come To The Center

Non è solo il video di Come To The Center a fare dei Jegong, band composta da Dahm Majuri Cipolla (Mono) e Reto Mäder (Sum Of R), una macchina del tempo settata sui Settanta, è proprio il beat (guai a chiamarlo “motorik”, dicono i due, perché la pulsazione è tutta umana) dritto come una autobahn imperlato di sintetizzatori cosmici e basso “pedal to the metal” a fare di questo brano un grezzo diamante krautrock. Sette minuti di viaggio verso la città, nei suoi meandri ormai antichi, fasti che non torneranno più. Ovviamente certifica Pelagic Records che a giugno pubblicherà il loro nuovo album “The Complex Inbetween“.

SDH – Denial

Prendete tutti gli elementi tipici degli anni Ottanta e immergeteli in un rave del decennio successivo e otterrete Denial, singolo che anticipa l’uscita di “Fake Is Real“, nuovo album dei SDH (o meglio Semiotics Department of Heteronyms), duo proveniente da Barcellona e composto da Andrea P. Latorre e Sergi Algiz. la combo beat strapotente e algido, la voce di Latorre e video fanno alzare la temperatura. “Denial has to be big / What is this trick?“, ripetuto lascivamente nel ritornello, sensualità che a meno venti gradi brucia come le fiamme dell’inferno in un girone darkwave da club sotterraneo. FFO: truccarsi subito e filare in pista a muovere testa e culo.

DOR – Horowitz

(c) Roberto Visciano

Guardando il video di Horowitz mentre il pezzo si srotolava lento e trascinato mi ha fatto perdere la bussola temporale. Le orecchie vedevano terre antiche e misteriose, gli occhi sentivano la trappola del tempo incessantemente volto verso un eterno ritorno, impigliato tra passato remoto e passato più recente ma pur sempre passato. Francesco Fioretti, leader del progetto DOR, coadiuvato in studio per la stesura di “In Circle” (in uscita a maggio per Drown Within Records e Toten Schwan Records) da Mario Di Battista (Ulan Bator), Sergio Pomante (Pomante Music, The Break Beast, Sudoku Killer), Paolo Raineri (Ottone Pesante) e Bruno Germano (Arto) e forte di una line-up devastante assieme a Mario Di Battista, Alessandro Vagnoni (Bologna Violenta, Drovag) e Gabriele Uccello (Affluente), batteria e fisarmonica, è cresciuto in Abruzzo, circondato da superstizioni e una realtà incastrata anch’essa in quel passato di cui sopra, a cui ha interpolato stralci del romanzo Manoscritto rinvenuto a Saragozza e ha dato vita ad un folk letteralmente apocalittico. Come se la fine dei tempi fosse ammantata da sintomi keltzmer, sviluppi acustici e follia spettrale e sghemba, che prende al collo e strappa l’ombra e lascia stesi in una campagna sconfinata e desertica.

KRE’U – A Sos Antigos

Restiamo coi piedi piantati nell’antico e nel mistero ma spostiamo lo sguardo oltre il mare fino a scorgere la Barbagia, regione montuosa Sarda. Là, temporalmente altrove, la terra era battuta da banditi e fuorilegge che combattevano per l’indipendenza. Della necessità del ricordo si fa foriera la ferocia dei KRE’U, la lingua con cui lo fanno è la loro, fa parte dell’identità e non può essere estirpata. La poggiano su uno strato black metal annichilente, ammantato da arie misteriche che salgono dalla terra per attanagliare le caviglie e portarci ben al di sotto del livello della crosta terrestre. A sos antigos fa parte dell’omonimo album della band in uscita a maggio.

Shrvl – Response

Chi ha affrontato un disordine depressivo può capire cosa ha affrontato Peter Voigtmann, tastierista dei The Ocean, e quanto costi il percorso per la guarigione. Da questo viaggio interiore nasce Response, una delle facce di “Limbus“, album che vedrà la luce a maggio per Pelagic Records. A rendere il lavoro allucinante è il fatto che ogni brano è un’interpolazione alternativa dei temi principali di “Holocene“, nuovo lavoro del collettivo svizzero in uscita lo stesso mese per la stessa etichetta, ma spogliati della ferocia elettrica che li contraddistinguono. Ridotti all’osso, imperniati su pianoforte, synth e ritmiche scheletriche, fanno da contraltare algido al magma delle ere preistoriche, come un viaggio sotterraneo sì, ma verso il Sé.

Maya Ongaku – Nuska

Quella dei Maya Ongaku, trio proveniente da Enoshima, una piccola isola a Sud-Ovest di Tokyo, sembra una di quelle storie tanto banali quanto magiche. Tsutomu Sonoda, Ryota Takano e Shoei Ikeda si sono infatti conosciuti in un negozio di oggetti usati (tra cui dischi) e lì, tra discussioni su musica, arte e vita in genere, hanno deciso di unirsi in una band. Il loro album di debutto “Approach To Anima“, che esce a fine maggio su Guruguru Brain, ha un titolo che è tutto un programma, bello ambizioso per altro. A giudicare però dal primo singolo estratto, Nuska, la strada intrapresa dai 3 sembra quella buona perché tra folk, psichedelia gentile e suoni del Giappone più autentico, il brano, che in certi frangenti ricorda i Calexico, scava lentamente e piacevolmente nell’anima lasciando una bella sensazione tra nostalgia e pace dei sensi.

Ifryt – Straszne rzeczy

Non ho trovato invero moltissime informazioni sugli Ifryt, band di black’n’roll proveniente dalla Polonia, che il prossimo 12 maggio darà alla luce, a firma Godz Of War Productions, un Ep intitolato “Płuca“. Il primo estratto si intitola Straszne Rzeczy, che vuol dire cose terribili ed è accompagnato da un lyric video (così potete esercitarvi un po’ con il polacco) in cui si vedono capre, koala e altri animali allucinati (vedete un po’ qui sopra), gente che distrugge stufe in mezzo ai giardini, boschi, fiamme di ogni tipologia e provenienza, tentativi di autoannegamento nell’alcool, cose terribili insomma. Ah, il pezzo, che dura 10 minuti belli pieni, è matto e molto carino, quindi per noi meritava una menzione.

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