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Interviste

“Love Conductor”, ovvero, twerkare, breakkare, fare piramidi, dormire, o parlare dando le spalle al palco: intervista a Francesco Mariani, His Electro Blue Voice

Esce “Love Conductor”, out of the blue, il terzo LP di His Electro Blue Voice, dopo tre anni di registrazioni, per Body Crash. Dopo “Ruthless Sperm” (2013) e “Mental Hoop” (2017), continua l’evoluzione eclettica del progetto, tra manipolazioni sonore, magma totale di generi, sulla falsa riga di un post-punk post-apocalittico, un cyber-punk con ombre hyperpop, house, kraut, insomma, un bel macello.

Scomposizioni vocali e testuali in stile AI ma a ruoli invertiti. Ora è l’essere umano che imita la macchina. L’amore per il dubbio, la curiosità, l’aggiornamento, la voglia di sviluppare idee e rischiarle subito senza attendere conferme esterne sono il motore vitale che contraddistingue la serie Body Crash.

Il disco si sviluppa in nove brani, due lunghi, complessi, Loreal 94 e Sempre Delusione, dove si scivola tra mood, ritmi e squarci, e sette invece dove il format è quello, bassi massicci, serrati, che picchiano duro. La sensazione è che Francesco Mariani, titolare del progetto, si sia liberato di alcuni sassolini nella scarpa, che ora possa sparare a zero su tutto ciò che gli capita. È un disco radicalmente punk, scarno nel suo sferragliare esagerato, di quella freddezza chimica, anfetaminica, radioattiva, che brucia.

Si scherza quando si scrive “Love”, perché l’amore può solo essere condotto, indotto, iniettato artificialmente, violentemente. C’è qualcosa di sessuale, ma è qualcosa di sporco, da olio di motore, da ingranaggio.

So che il disco è stato prodotto interamente da te, Francesco, e masterizzato da Mikey Young. Il terzetto è per ora in standby. Perciò ti posso chiedere fin da subito delle meccaniche più oscure: cosa ci resta dell’umano? “Love Conductor” è l’espressione di un accanimento terapeutico, su ciò che resta della razza umana, o sbaglio? Al di là delle mie elucubrazioni, qual è l’intento del disco?

Da sempre l’intento è stato quello di aggiungere elementi extra ai classici generi che si chiudono dentro quattro mura. Questo è quello che mi piace fare quando sono io a creare. Da ascoltatore invece amo anche i generi più puri e chiusi. HEBV non è mai stato catalogabile in un unico genere, ma è sempre stato ricco di sfumature e ultimamente la cosa è sfuggita di mano abbandonando tante influenze citofonate. Negli anni ho sempre avuto intuizioni mai realizzate che rimanevano su demo o nella mia testa perché troppo fuori contesto da quello che stavo facendo con HEBV sotto forma di band. Me ne sono fregato e questo è il risultato. L’utilizzo del computer come strumento principale mi ha aperto un nuovo mondo. Mi piace usare mezzi tecnologici che rendono più trasparente la mente al pubblico, senza distrazioni fisiche/sessuali. Con i miei tempi continuo a imparare a scoprirne le possibilità. La naturale voglia di divertirmi, rischiare, provocare ed emozionarmi rimane intatta.

Non più schitarrate, batteria e voce, ma pure mitragliate sintetiche, bombe di frammenti. Che evoluzione c’è stata dai primi due album a quest’ultimo? Come si colloca nella tua poetica? Cosa ti ha spinto, da cosa è nato? Qual è la direzione?

Compresi gli ultimi due EP la novità è che per quanto riguarda l’aspetto creativo e tecnico, ho scritto, registrato e pubblicato tutto da solo. Questo mi ha dato modo di vivere sulla pelle nuovi aspetti del mestiere. Le cose sono cambiate. Aggiornarsi e capire dove non perdere più tempo durante il percorso è un buon passo in cui credere. Sono già con la testa su nuovo materiale diverso da quello appena ultimato, curioso di capire come riuscirò a tradurre il disegno che ho in mente. Sono assolutamente aperto a collaborazioni e produzioni. Aiutare o essere aiutato. Continuerò così, senza poter fare a meno di prendere parte al gioco.

Quali sono le tue influenze? Ci sono stati dischi, ma non solo, anche altre forme d’arte che hanno modellato la produzione particolarmente?

Anni fa a questa domanda rispondevo sempre elencando decine di band di qualsiasi annata, anche perché prima di tutto sono un appassionato ascoltatore. Da tempo credo di aver costruito delle basi solide dove posso pure auto-campionarmi. Ho il mio modo di esprimermi e rielaborare. Artisticamente le cose che mi hanno più incuriosito negli anni passati tra “Mental Hoop” e “Love Conductor” sono stati i vari mondi Deconstructed Club, PC Music, Hyperpop e Griselda. Sia per quanto riguarda la fase di composizione che di mixaggio. Ma anche sonorità che si modellano nuovamente in nazioni come Giappone, Nigeria o sud est asiatico. Ho sempre la fissa per i graffiti, letture, film e serie. Vedo i pezzi di questo LP come una sfilata di abiti curiosi. Non è roba che devi indossare tutti i giorni ma sono creati per mostrare soluzioni alternative. Ovviamente esistono musiche molto più pazze, ma il punto di partenza di HEBV rimane quello chiamato Post-Punk. Non vado a cercarlo, è solo la base iniziale da colorare, rendere interessante, personalizzandolo. Per me il termine ha sempre dovuto significare maggiore possibilità di espressione. Muoversi fuori da schemi e confini. Tramite questa visione avrà più probabilità di rimanere attuale e dire la sua. La copia della copia della copia non aiuta. Annacqua solamente.

E infine: come immagini la performance sul palco? Vuoi vederci ballare, o preferisci spingerci a pogare?

Mi vedo solo sul palco, e il nuovo materiale lo immagino più atmosferico e accomodante. Poi magari cambia tutto. Ma ad un ipotetico concerto di HEBV per me oggi potresti sia twerkare che breakkare, fare piramidi, dormire, o parlare dando le spalle al palco. Non mi aspetto nessun rispetto e non vorrei un evento/cerimonia a difesa di qualcosa, con atteggiamenti preconfezionati.

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