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Interviste

“Dove nascere”, una nuova strada per Federico Dragogna

Foto: Chiara Mirelli

Federico Dragogna è un chitarrista, compositore, autore e produttore nato nel 1982 a Milano. È conosciuto ai più per essere co-fondatore della rock band Ministri con cui ha pubblicato sei album e due Ep. In oltre vent’anni di carriera ha dimostrato uno spiccato talento anche come paroliere firmando tutti i testi del gruppo milanese. “Con loro ho fatto viaggiare le mie parole fino a posti che non avrei mai potuto raggiungere da solo, meravigliandomi continuamente di quanto il lavoro incrociato di tre teste potesse generare infinite possibilità” ha raccontato il musicista.

A quarant’anni Federico ha sentito l’esigenza di affrontare un nuovo percorso solista in cui per la prima volta si è preso carico direttamente di quello che voleva dire dando il suo nome ai brani che custodiva da tempo e da lui definiti “visioni di un attimo, lavorate poi con una lentezza d’altri tempi come polaroid lasciate per anni al buio in un cassetto a trovare i propri colori”.

Il progetto “Dove nascere” esce oggi, 5 maggio, a cura di Pioggia Rossa Dischi – una giovane etichetta discografica fondata da un collettivo di musicisti a Genova nel 2017 – ed è disponibile in vinile e su tutte le piattaforme digitali. L’album comprende dodici tracce inedite scritte da Dragogna e prodotte insieme a Mattia Cominotto.

Una dozzina di perle, che infilate una dopo l’altra vanno a comporre una collana sottile ma compatta in cui il cantautore racconta la sua verità e in cui si intrecciano presente, storia e futuro. La title track del disco, che è stato anticipato, da due singoli, Dubbi e Musica per aeroporti, è una canzone che parla di utopie, progresso e migrazioni.

Nelle date previste del tour di “Dove nascere” il chitarrista dei Ministri sarà affiancato dal batterista  Emanuele Tosoni, alle tastiere Andrea Ragnoli e Filippo Caretti al basso e chitarra.

“E questa vita così bella che/ Non la puoi mica toccare/ La nostra vita è troppo bella/ Non la devi toccare” intona Federico Dragogna nel brano Fibra. Questo stralcio di testo rappresenta uno dei tanti spunti che sono emersi nel corso dell’intervista che abbiamo realizzato con l’artista in occasione del suo debutto solista “Dove nascere”.

Il 14 maggio del 2021 usciva l’Ep dei Ministri “Cronaca nera e musica leggera” e in quella occasionerivolsi al cantante Davide detto “Divi” la seguente domanda: quanto è difficile interpretare e rendere credibili sul palco parole che in prima battuta non hai pensato tu? Mi premeva chiederglielo perché da sempre la penna dei Ministri sei tu. Oggi presenti il tuo primo lavoro solista intitolato “Dove Nascere” dunque è lecito domandarti come ti senti ora che tutto il potere è non solo nelle tue mani ma nella tua voce?

Per anni è stato molto bello scrivere per la voce di Divi che credo abbia uno dei timbri rock migliori in Italia. Io non ho una voce rock e penso si percepisca ascoltando il mio disco. Non so ancora dirti cosa provo in questo momento perché sta accadendo tutto adesso e in questi giorni inizierà anche il tour. Qualunque sensazione arrivi la trovo semplicemente giusta. Penso a quando salirò sul palco e dovrò ricordarmi tutti i testi che scrivo e per me non sarà una cosa banale. Non ho fatto il disco rincorrendo grandi manovre discografiche o strategie. È stato un impulso trasparente, intimo e anche necessario perché nutrivo il bisogno di raccontarmi in maniera diversa ma non ho paure o ansie.

Perché necessario?

In realtà fare dischi e scrivere canzoni è esattamente il contrario della necessità. Tutti quelli che come me fanno questo lavoro sono in fondo dei narcisisti chi un po’ di più chi un po’ di meno. Ci sono cose necessarie per la vita e le canzoni non lo sono. Tuttavia ci sono persone che da quando nascono sentono questo bisogno e dedicano la loro vita a questo mettendoci tutta la cura e l’impegno possibile. Io lo faccio per restituire a chi mi ascolta qualcosa di utile.

Cosa ne pensano Davide e Michele rispettivamente cantante e batterista dei Ministri di questa tua nuova esperienza artistica fuori dal gruppo?

Davide e Michele lo sanno che dentro di me queste spinte ci sono da sempre.

La copertina del tuo disco ritrae una vecchia foto di Serena amica e fotografa. Era una bambina piccola e timida ma un giorno al circo prese coraggio e fece una foto con un pitone. I suoi genitori rimasero stupiti del suo coraggio tanto quanto lei. Raccontami quando ti sei sentito davvero coraggioso come artista e come uomo?

All’inizio pensavo che fosse stata la famiglia di Serena a spingerla a fare la foto con il serpente e invece no non andò così fu lei a prendere coraggio quel giorno stupendo tutti quanti. Mi colpì molto questa storia che è legata in un certo senso anche al mio essere stato coraggioso nel buttarmi in questa nuova avventura discografica. Penso che ho preso coscienza di quello che potevo fare quando feci lo spettacolo teatrale “Quello che ho capito di De Andrè” che ho portato avanti in questi ultimi tre anni. Parlare per un’ora e mezza da solo davanti ad un pubblico di un artista che è una figura di riferimento per me e a cui sono molto legato, sviscerandolo anche in una maniera provocatoria in certi punti, è stata un’esperienza che mi ha fatto capire che ero pronto ad usare la mia voce senza nessun’altra struttura o altri attorno. Per quanto riguarda invece il coraggio più umano credo che mi aspettino ancora delle esperienze davvero coraggiose da affrontare nella vita che fin’ora è stata piuttosto bella, morbida e dolce. Tutti i concerti fatti sono un’altra categoria di coraggio rispetto a quella che possono vivere tutte una serie di persone.

La title track Dove nascere ha un testo molto forte. “Quando un giorno potrai decidere/ Dove nascere/ Sappi che qui da noi / Non si sta poi così male/ C’è gente che rischia la vita anche soltanto/ Per venirci a morire”. Ti riferisci alle tante morti che avvengono in mare o il discorso è ancora più ampio?

Il testo di Dove Nascere è uno di quelli a cui tengo di più come forma e sintesi. Nonostante il precariato, Meta e Siae che litigano ecc.… alla fine forse in Italia non si sta poi così male. In questo brano mi interessava analizzare il fatto che chi è particolarmente polarizzato sul tema dell’ospitalità arrivasse a ragionare anche sulla tematica del dove si nasce. Nel pezzo si parla anche del diritto di cercare la propria fortuna, poter decidere dove nascere o dove nasceranno i tuoi figli. Penso che anche il migrare altrove abbia una parte di dramma ma anche di riscatto. È vero ci sono i morti in mare ma ci sono anche coloro che riescono a costruire le proprie vite e quelle dei propri figli altrove. Ci sono coloro che non stanno scappando da una guerra ma da un paese in cui ad esempio bisogna camminare per tre ore per avere acqua potabile come può accadere in Africa. Secondo me è sbagliato raccontare la migrazione soltanto dal punto di vista del dramma perché così perde di significato. Anche noi italiani ci siamo impegnati rischiando anche la vita per spostarci più o meno lontano. In generale penso che la discussione su questa tematica sia dalla destra che dalla sinistra italiana sia ferma.

Quando ero adolescente ogni volta che dovevo prepararmi per un viaggio sapendo di dover prendere un aereo cercavo sempre di essere impeccabile perché ero convinta che l’aeroporto fosse un posto unico e irripetibile, l’aeroporto era la mia finestra luccicante sul mondo.

(ride) È buffo questo aneddoto che mi racconti.

In Musica per aeroporti racconti di questo luogo “E lunghi viali di cioccolato/ Che mi separano dall’ignoto” perciò ti chiedo cosa rappresenta per te?

Io nella mia esperienza ho vissuto paradossi assurdi, qualcosa emerge anche nel testo, ad esempio una signora in pigiama che avendo la coincidenza del volo il mattino successivo si mette a dormire davanti ad un negozio di Swarovski. Tutto ciò racconta in maniera grottesca le disuguaglianze che possono capitare nel mondo. Ad esempio gli aeroporti al contrario delle stazioni tengono lontani gli ultimi cioè non ci arrivi mai a piedi in aeroporto. È tutto ad un livello superiore e chi si trova lì è perché se lo può permettere. Inoltre nella canzone viene tracciato un parallelismo tra la musica di oggi e gli aeroporti infatti ad un certo punto scrivo “i bagni puliti e gratis” come appunto le piattaforme di streaming dove puoi ascoltare tutta la musica che vuoi quando vuoi. Questa costruzione di benessere derivata dal pop contemporaneo è totalmente falsa. Il mondo non è un duty free e trovo assurdo che nel momento in cui sto per prendere un volo rischiando in un certo senso la vita l’ultima cosa che intravedo siano dolciumi e metal detector.

In questo pezzo emerge un sound più elettronico – c’è lo zampino di Stabber già produttore di Salmo, Nitro, Coez – come è nata questa collaborazione?

È stato un caro amico Victor Kwality che prima stava con gli LNRipley e adesso lavora come discografico presso Asian Fake a farmi conoscere Stabber. Era il 2018 quando gli feci sentire questa traccia. C’era già tutto melodia e testo poi lui aggiunse questa elettronica molto particolare. Stabber ha uno stile  che sta continuando a portare avanti anche da solista modernissimo, più moderno del paese in cui vive. Non c’erano prospettive discografiche o accordi prestabiliti ci lavorammo spontaneamente e una volta finito il lavoro d’insieme adorai il pezzo. Poi purtroppo ci fu il Covid-19 e con la pandemia chiusero tutti gli aeroporti. Per fortuna oggi non è più così.  

In Lavorare è il mio secondo lavoro affermi: “Ma lavorare è il mio secondo lavoro/ Il primo è convincermi che sono vivo”. Questo verso mi ha ricordato un libro che sto leggendo la cui autrice è la giornalista statunitense Sarah Jaffe. Il libro si chiama “Il lavoro non ti ama”. Per caso lo hai letto?

Perbacco, non lo conosco me lo segno assolutamente.

Foto: Chiara Mirelli

Nell’ultimo brano Cacciatori c’è la presenza dell’eclettico polistrumentista Enrico Gabrielli (Calibro 35, The Winstons, Afterhours, Mariposa). In questa traccia suona il clarinetto, il flauto oltre che i cori. Perché proprio lui?

Enrico è un amico e da anni condividiamo una specie di progetto parallelo, semi sconosciuto che si chiama I Calamari dove facciamo canzoni tradizionali milanesi nonostante nè io nè lui sappiamo il milanese tra l’altro lui è toscano. Enrico è una persona di una generosità ed intelligenza unica. Il lavoro di fiati e cori che ha fatto su Cacciatori cova un sapore morriconiano e quando lo ascolto mi emoziono sempre. Tra l’altro è uscito recentemente con un disco di musica per bambini (“Le canzonine” ndr). È una passione che condividiamo tutti e due. Sono sicuro che ha ancora tantissimo da dare alla musica italiana.

Hai definito Cacciatori una canzone che parla di famiglie difficili e del fatto che spesso le cose a cui siamo più legati non sono quelle che scegliamo. Come appunto le famiglie. Tutto ciò mi ha fatto venire in mente l’incipit di Anna Karenina di Lev Tolstoj che recita così: “Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo”. Il testo che tu hai scritto è autobiografico?

Si lo è. Questo pezzo è nato una sera specifica quando vidi appunto un cacciatore che andava verso il bosco. In quel momento ebbi un’ispirazione reale grazie a questa visione allegorica. Io non ho mai conosciuto una famiglia felice nel senso stretto del termine e questo brano in particolare parla dei nostri padri nati negli anni ‘50 (i boomer) come il mio. Questi uomini hanno in comune – lo so perché mi è capitato di incontrarne diversi nella mia vita – una fortissima etica del lavoro, grandi problemi di comunicazione ed empatia e il più delle volte rimangono soli come appunto dei cacciatori all’imbrunire. Questo accade perché parte dei loro valori e certezze consolidati negli anni ‘90 sono poi caduti uno dopo l’altro. Hanno sbagliato a non prestare abbastanza attenzione alle relazioni e agli affetti ed ora non hanno uno spazio nel mondo. Sono persone incattivite che hanno problemi con la modernità. Noi figli dobbiamo condannare questa mascolinità come già sta accadendo ma anche perdonarli quando è possibile. 

Se potessi rubare il talento, la carriera artistica e la fan base di un artista chi sceglieresti?

Damon Albarn.

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