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Ristampe e Dintorni

Lynx – Lynx

Ah, la grande epopea del rock angolare tra fine ’80 e ’90, definito math, poi noise, prima ancora indie, quello di casa alla Kranky, la Touch And Go, la Amphetamine Reptile, il sound di Chicago sempre libero eppure ancorato a sé stesso. Infinito, tanto da perdurare nel tempo e diventare leggenda suburbana. Mai svilito, mai svenduto. Anche quando è durato un soffio di tempo, un disco appena e poi più nulla.

Questo mondo che divide la propria storia in “prima dei Battles” e “dopo i Battles”. I Battles, la band che ha cambiato le regole, che per prima ha raggiunto vette superiori (sì, certo, i Jesus Lizard in tour con i Nirvana, gli Slint, i Polvo, i Don Cab, Steve Albini e via discorrendo), la band che fino a non troppo tempo fa aveva tra le sue file vedeva Dave Konopka e che, prima che nascessero, proprio un attimo prima, era già parte di quell’universo fatto di chitarre aritmetiche coi suoi Lynx affiancato da Dale Connolly (batteria), Michael Hutchins (chitarra) e Paul Joyce (basso). Gente da cantina che in cantina è rimasta il tempo di tirare fuori materiale prima per un EP, registrato da Keith Souza al Sound Station Seven, il cui materiale è stato poi acquisito dal Machines With Magnets, studio archetipico di queste sonorità nel nuovo millennio, e un full length proprio nella più grande metropoli dell’Illinois sotto la supervisione di Bob Weston, del Massachusstes, basso della più grande band dell’Illinois, gli Shellac. Roba da farci un’intera carriera, e invece no.

(c) Don Harney

Rimasto sotterrato dal resto, dal dopo, finché i ragazzi di Computer Students™ non ci hanno messo su le zampe. Digressione: Computer Students è un’etichetta concettuale di stanza a New York City. I cinque fondatori hanno nel DNA l’idea di ricerca scientifica applicata alla musica. Scavano nella conoscenza e negli archivi, introiettano le proprie idee in quelle di un mercato musicale appiattito e lo trasformano in altro, fanno della coscienza e dell’etica una questione di importanza centrale. Prima di cominciare a pubblicare album i creatori hanno lavorato alla creazione e al design del “Type-1 Packaging”, un involucro per dischi formato da uno strato di foglio in alluminio rivestito da una finitura opaca protettiva prodotta negli USA da una ditta che usa lo stesso identico materiale per compagnie aeronautiche e farmaceutiche. Saremmo già oltre, sennonché dal 2020 in poi si è arrivati al “Type 2” forte di un minor impatto ambientale.

La copia promozionale mi è arrivata infilata proprio in una di queste buste e a momenti non ci credevo. Ovviamente in CD, ma per l’etichetta il miglior modo per ascoltare qualcosa è farlo attraverso il vinile. Sono valori, e pure tutti condivisibili. Infatti “Lynx” è una ristampa nero laccata, come piace tanto a noi smanettoni. Il loro catalogo è fuori di testa. Non conosco una band una a pagarla oro, sono poche e potete giurarci che andrò a fondo della cosa.

Torniamo al disco: una deflagrazione di melodie espanse, rese se possibile ancor più potenti dal lavoro di remix dell’immancabile Seth Manchester (ecco che gli studi Machines With Magnets fanno la loro apparizione nel presente) e il master di Bill Skibbe che invece come studio ha prediletto quello il Third Man Mastering di Detroit (rock city), roba di Jack White, roba da smanettoni. Ancora e forse per sempre. Dicevo, deflagrazione di melodie espanse. Sì. Da titoli come explosive diarrhea ti aspetti che un ratto esca dalle casse rincorso da grida grindcore, invece no, di voce neppure l’ombra, solo chitarre elastiche che rimbalzano su una ritmica a denti serrati, ombreggiature polvoiane, bassi che sembrano cannoni caricati a bulloni e ferraglia, tempi dopati e nevrastenie a pioggia ma anche arpeggi celestiali in distensione, silenzi contaminati da distorsioni e chitarre in bilico tra pedali accesi e spenti, accelerazioni furibonde e stop improvvisi da rientrare nel culo dell’auto piazzata davanti, spianate math e perdita d’occhio, muscoli scintillanti sotto le polo e le t-shirt lise e macchiate. Se accostate bene l’orecchio sentirete il germoglio dei Battles crescere sotto la terra di Boston. Stava tutto qui.

Sta ancora qui, perché a 21 anni da “Lynx” il quartetto si ritrova in studio con Manchester. C’è ancora del materiale di quell’epoca ormai perduta, forse finita, cui va data l’opportunità di esistere. Sotto la cenere il fuoco brucia ancora, “Human Speech”, l’EP che esce parallelo alla ristampa, rimette i motori in funzione. I tre brani che lo compongono pagano il debito di quegli anni di gioventù ma vengono osservati sotto la lente della maturità. Title track che odora di intervalli jazz in sospensione, avvampano le venti corde e appiccano un incendio noise, lo stesso che rifila martellate incendiarie alle melodie indie di less messy mentre softly ultra è tutto tranne che nomen omen, fa friggere la pelle, singhiozzi elettrici e aperture strabordanti fanno il pelo e il contropelo e il core ruggisce come una manticora incazzata. Un quarto d’ora scarso di gran mazzate a dimostrazione che, volendo, si potrebbe osare qualcosa in più che una rimpatriata datata ormai 2021.

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