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Interviste

Platone e shoegaze: Tucci racconta la sua caverna

Anticipato dai singoli Sick Of Everything, Out Of Sight e Oblio, il 5 maggio è uscito “My Cave”: l’EP d’esordio di Tucci ispirato al mito della caverna di Platone.

Il compositore catanese si sofferma sugli aspetti positivi della prigionia, su come le ombre proiettate sul muro possano portare alla scoperta di se stessi e del mondo delle idee. Le quattro tracce ritrovano e fanno ritrovare un amore viscerale per l’arte e per l’immaginazione. Descrivono sensazioni personali ma anche universali condivise da chi è in grado di abbandonare il mondo sensibile ed entrare nel proprio antro segreto per ricongiungersi con una realtà parallela, ma comunque vera come quella tangibile.

L’eco della caverna rimbomba anche nei suoni che alternano atmosfere oniriche, psichedeliche e distorte. I protagonisti di “My Cave” sono i synth che avvolgono le lapidarie linee di basso e di batteria. A conferire un’impronta marcatamente shoegaze all’EP contibuiscono le chitarre di Mario Lo Faro dei Clustersun e produzione esecutiva Ivano “Pul” Pulvirenti.

Abbiamo incontrato il musicista siciliano per una chiacchierata.

Ciao Emanuele! Partiamo dal principio: cosa ti ha spinto a dare inizio ad un progetto solista?

Ciao e grazie per questa intervista! È stato fondamentale il primo lockdown, momento in cui ho smesso di suonare con la mia band perché eravamo tutti rinchiusi in casa. Questo mi ha portato a decidere di soddisfare anche da solo il mio desiderio di suonare e ho iniziato a comporre. Inizialmente era un semplice diletto, ma piano piano è diventata un’esigenza fortissima. Col tempo la voglia di far diventare più elaborate e vere quelle composizioni è diventata sempre più potente.

Com’è fare shoegaze in Italia e in particolare in Sicilia? Come viene accolto questo genere dal pubblico?

In realtà in Italia esiste una piccola e bellissima scena shoegaze e derivati, formata dai catanesi Clustersun (lo stesso Mario Lo Faro ha suonato le chitarre dentro il progetto Tucci), Novanta, REV REV REV, Talk To Her…Fuori dalla Sicilia è un genere che viene accolto bene, in alcune zone come Milano o Bologna vedo che gli eventi non mancano. In Sicilia si sta pian piano diffondendo. Proprio quest’anno a Catania ci sono due bellissime rassegne: Disclosure e Retour che propongono musica alternativa, in cui il progetto Tucci ha fatto il suo debutto aprendo ai Bee Bee Sea. Chissà che in futuro non si inserisca qualche band shoegaze, tra i giovani il genere in realtà si sta finalmente propagando.

L’intro di Oblio rimanda alle immagini provenienti dalla filmografia di Dario Argento, dal “Dracula” di Bram Stoker; come avviene questo processo di trasformazione delle immagini in musica?

Per me è molto semplice perché spesso compongo subito dopo aver visto un film o in generale dopo aver vissuto qualche esperienza che mi ha ispirato. In genere mi rifaccio comunque a immagini dark e oscure, perché la cultura gotica e orrorifica, da Edgar Allan Poe a Bram Stoker, mi ha accompagnato durante la mia crescita. È come se questo immaginario ormai facesse parte di me e del mio modo di vedere l’arte, che per me è spesso tortuosa, complessa e catartica e riesce ad incanalare i tormenti e le paure che mi hanno attanagliato in determinati periodi.

Il concept del videoclip che lo accompagna, realizzato da Mirko Puliatti, affronta il tema dell’ansia e dell’annientamento; queste problematiche avevano già ispirato la stesura del brano?

Sicuramente in qualche modo sì. Il brano nasce da un grave momento di sconforto, dovuto un po’ alla situazione globale, un po’ a quella mia personale. In parte, prima della composizione, è esistito il momento dell’annientamento di me stesso, schiacciato da questo malessere. La composizione del brano è stata un po’ la risposta a questo annientamento, l’elaborazione e l’implosione del malessere che ha accompagnato tutta la stesura del brano.

Oblio appare più cupo e “allentato” rispetto ai singoli che hanno preceduto la sua pubblicazione, Sick of everything e Out of sight; come è avvenuto questo “cambiamento di rotta” sonoro?

“Oblio” è sicuramente più allentato degli altri, ma lo è soltanto in apparenza: in realtà è un singolo, a suo modo, esplosivo. Il brano, nella sua malinconia, è fortissimo sia nell’intro che si apre coi synth, sia nel finale che si chiude con gli archi. È allentato nel noise che manca, ma si rafforza con l’incastro e i giri armonici ossessivi e drammatici che caricano il brano di un pathos doloroso che compensa la mancanza di noise presente invece negli altri due.

È appena uscito il tuo primo EP, “My Cave”: come si intuisce dal titolo, il disco trae ispirazione dal mito della caverna, ti va di raccontarci in che modo hai “adattato” questa allegoria di Platone a te e alla tua musica?

Ho adattato il mito di Platone decidendo di ribaltarne il significato. Non è più il prigioniero ad uscire dalla caverna e a scoprire ciò che c’è fuori, ma io che invito gli altri ad entrare. Le immagini vengono attraversate dalla musica che le rende visibili a chi decide di accedere e di intraprendere il viaggio all’interno della mia arte. Un’arte che cerca di essere sempre vera e autentica. Nella caverna si mostra l’energia oscura e misteriosa che dà lo slancio alla creazione artistica. Anche la copertina dell’EP è ovviamente ispirata a questo concept, con una figura al centro della caverna che illumina lo spazio oscuro in cui sorge la musica.

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