Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Dave Okumu & The 7 Generations – I Came From Love

2023 - Transgressive Records
alternative R&B

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Two Things
2. 7 Generations
3. Blood Ah Go Run
4. Streets
5. My Negritude
6. The Cost
7. Prison
8. Black Firework
9. Scenes
10. Amnesia
11. Get Out
12. The Struggle
13. Eyes On Me
14. Abaka
15. A Paradise


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Più recensisco dischi più noto che la parte più difficile del processo sia attribuirgli l’etichetta del genere a cui l’opera appartiene (o apparterebbe). Mi rendo conto che sia una info che il lettore cerca per orientarsi e, peraltro, una delle poche info sintetiche che a ImpattoSonoro diamo, essendo refrattari ai voti, al contrario della concorrenza: decisione delicata, quindi.

In genere me la cavo sempre con una sigla abbastanza furbetta e generica, difficile da criticare. Ma di fronte a “I Came From Love”, provo una certa frustrazione per dovere sintetizzare il disco con una sigla.  Probabilmente, in questo caso, di genere bisognerebbe definirne uno nuovo: My Negritude. Intesa come quella di Dave Okumu che, in quello che è un po’ il suo esordio solistico (se si eccettua lo strumentale Knopperz), si fa accompagnare da 7 Generations di “antenati miei propri, antenati altrui, i miei antenati musicali, i miei discendenti”.

Un sacco di gente a sostenere un artista non di primo pelo, malgrado l’esordio. Nato nel 1976, attivo dal 2006 con la band the Invisible, senza contare le innumerevoli collaborazioni e produzioni con gente come Amy Winehouse, Tony Allen, Joan as Police Woman, St. Vincent, Anna Calvi, London Brew,  Nilufer Yanya, Arlo Parks, ecc…

Okumu ha fatto un disco politico, in cui tutto si connette, i testi, i suoni, la musica, per raccontare da un punto di vista “afro-europeo” la condizione della gente di colore, traumaticamente e crudelmente sradicata dal proprio continente all’incirca, peraltro, 7 generazioni fa. “I Came From Love è un affresco dellesperienza dei Neri che esplora lascendenza, il retaggio della schiavitù, cosa significa esistere in una società ingiusta e la storia della famiglia Okumu”, racconta l’artista.  “We cannot be sent back” si canta in Scenes, “We cannot be dismissed”. C’è qui l’ovvia e sacrosanta rivendicazione dell’identità ancestrale degli afro-discendenti. Un tema molto forte in altri paesi, anche europei, ma con cui un italiano di pelle chiara e qui residente e radicato, ha difficoltà a connettersi con vera cognizione di causa.

Preferisco allora concentrarmi sulla musica. Che comincia  alla grande con il dub di 7 Generations in cui viene ospitata addirittura Grace Jones. Si cambia nettamente (e forse si perde il focus per un attimo) con il post-punk di Blood Ah Go Run. Ma poi arriva il trip-hop oscuro e bellissimo alla Massive Attack di Streets. Dopodiché è tutto un florilegio di “negritudine” tra afro-beat (My Negritude e Scenes dove brilla Tom Skinner, quello dei The Smile e Sons of Kemet, alla batteria), (tanto) funk alla Prince (The Cost, Black Firework, Amnesia e Get Out), blues elettronico (Prison), R&B (The Struggle e Eyes On Me), reggae (Abaka). Per terminare conl’hip-hop trascinante e ottimista di A Paradise

In tutto questo, le melodie sono orecchiabili, i ritornelli gloriosi, la sezione ritmica trascinante, gli arrangiamenti sempre originali tra jazz e elettronica, con atmosfere che vanno dallo psichedelico all’etnico. Che genere è? Quello dei gran bei dischi.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni