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Cattle Decapitation – Terrasite

2023 - Metal Blade Records
progressive grindcore

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Tracklist

1. Terrasitic Adaptation
2. We Eat Our Young
3. Scourge Of The Offspring
4. The Insignificants
5. The Storm Upstairs
6. …And The World Will Go On Without You
7. A Photic Doom
8. Dead End Residents
9. Solastalgia
10. Just Another Body


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La capacità dei Cattle Decapitation di creare copertina una più disgustosa dell’altra (e non è un punto a loro sfavore, sia ben chiaro) è pari solo a quella di ergersi a campioni grindcore ad ogni nuovo album spazzando via la “concorrenza” e dando alle fiamme l’idea di “specie umana dominante”.

La storia recente ha dato ragione ai cinque di San Diego che lo gridano forte e chiaro in Scourge Of The Offspring: “Siamo il flagello / Un altro ospite a cui trasmettere la morte / Un altro fantasma che prende forma dal mio respiro / Gli esseri umani non imparano nemmeno quando le loro case bruciano”. Il demone vocale che alberga in Travis Ryan (se sarà necessario decretare un successore di Devin Townsend sapremo dove volgere lo sguardo) ha l’aspetto del Signore delle Catacombe finché il ritornello non si apre permettendo alla follia di filtrare, alla richiesta di decimazione sorretta da un’amarezza quasi romantica a vagliare un pensiero terrificante senza stritolarti il cuore ma lambendolo con aliena dolcezza fino allo spegnimento. Il suono di un’etica dimenticata.

Terrasite” è poetica grind, uno sterminio elettrico in progressione all’interno del quale nulla è accidentale, tutto è chirurgica volontà di superamento del limite: la parte centrale di The Insignificants, un ingombrante massiccio in caduta libera al rallentatore innescato da un arpeggio crepuscolare; l’annientamento verticale e completamente folle di We Eat Our Young; groove e psicosi che fanno di A Photic Doom un percorso a ostacoli mortale (con assolo super-morbidangel di Josh Elmore); The Storm Upstairs e Sostalgia, il basso di Olivier Pinard che sventra e lancia due meteoriti ultracore a schiantarsi contro il pianeta; la pioggia death disarmonica che si rovescia su …And The World Will Go On Without You dandole l’aspetto di incessante tortura e pianto disperato. Tutto questo basterebbe e avanzerebbe se non ci fossero anche i dieci minuti della conclusiva Just Another Body, costruita sul lamento dell’apocalisse, puzzle di sensazioni strazianti, un gigante dalle orbite vuote che piangono sangue le cui lacrime si perdono nell’aria sospinte da un coro di atterrente dolcezza abissale.

Dopo un altro capolavoro di genere come “Death Atlas” era lecito aspettarsi quantomeno un assestamento, non dico un passo indietro, perché ad un certo punto dovrai pur frenare. Mica vero. Un motivo in più per non farlo è dedicare un disco a Gabe Serbian.

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