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“Oh, Oh, Oh, Oh, Oh, – I Righeira, la playa e l’estate 1983”, Fabio De Luca e lo sguardo sulla spiaggia della memoria

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Quando Vamos a la playa uscì ovunque io avevo – 3 anni. Probabilmente non ero nemmeno nei più reconditi pensieri dei miei genitori (o lo sarei stato di lì a poco) che, però, quell’anno erano in Spagna e in spiaggia il brano impazzava. Io comunque non c’ero, eppure, da che il mio cervello ha cominciato ad incamerare ricordi, la hit dei Righeira c’è sempre stata. E con sempre intendo sempre: in piscina, all’oratorio, nei baracci, nei localacci, dappertutto. La cantava chiunque, la fischiettava pure il prete (giovane, a onor di cronaca). Da qui la mia forte antipatia per questo brano.

L’effetto “tormentone” è deleterio, ti farebbe odiare persino la musica che ami, tant’è che pure in campo cosiddetto “alternativo” ci sono tormentoni, checché ne dicano i duri e puri, e i musicisti stessi ne hanno spesso le palle le piene più di chiunque altro. Eppure perdurano. Uno dei presupposti da cui parte Fabio De Luca in “Oh, Oh, Oh, Oh, Oh – I Righeira, la playa e l’estate 1983” è proprio quello della memoria come impianto stabile di chi c’era o di lì a poco ci sarebbe stato.

L’autore viaggia a ritroso muovendosi nel presente. Ciò che De Luca finisce per fare fino a tradurre tutto nel libro edito da Edizioni Nottetempo mi ricorda il film “Elektrokohle (wen wegen)” in cui i fan degli Einstürzende Neubauten ripercorrono la stessa strada che fecero per raggiungere un concerto dei loro beneamini per poi scoprire cosa è rimasto del luogo in cui suonarono (resto sul vago, nel caso voleste vederlo). Sulla strada incontrerà i propri ricordi, cosa voleva dire per lui muoversi in quel mondo, in un tempo che pare sostanzialmente ormai alieno al nostro, con quarant’anni a dividerci dall’allora, ma in fondo così intatto.

Prende sentieri strambi, quelli della musica altra che fu, alveo in cui Johnson e Michael nacquero e gettarono le basi per quello che sarà. De Luca salta da Oderso Rubini, che di quell’ondata post-punk e multiforme che erano gli Eighties italiani fu il fautore, a Jovanotti (che di tormentoni comunque ne sa, e io lo maledirò sempre) fino ai Matia Bazar (Antonella Ruggiero fan di Tuxedomoon e Bauhaus non me l’aspettavo), che cambiarono tutto, per loro e per il pop italiano, Max Pezzali (anni ’80 = 883), Ivan Cattaneo (in quell’occasione l’autore riesce a nominare persino i Current 93 e io lo ringrazio) e, ovviamente i fratelli La Bionda e Johnson (Michael ha declinato l’invito a partecipare), protagonista e cicerone attivo e passivo in quella Torino che fu, quella antagonista e artistica che dalle ceneri dell’industria ha costituito un motore potenziato dell’obliquo che oggi manca sempre più.

Approfitta di una canzone (DELLA canzone) per sviscerare la società che è rimasta tanto uguale e altrettanto diversa, s’immerge in quell’ambience post-atomica e alleggerisce il carico scrivendo con penna leggiadra (ma non leggera), scorrevole anche quando il carico si fa notevole, incarnando in pieno Vamos a la playa, con una bomba già esplosa e il disastro avvenuto ma, su tutto, il meccanismo della memoria, così importante per il passato a costruire un presente che non sempre è revival, non se qualcosa è ancora

Che siate nuovi punk, vecchi punk, hardcorer del diverso, Vamos a la playa fa parte del vostro DNA. Vi piaccia oppure no. Il libro perfetto, la canzone perfetta, l’odio migliore (nel secondo caso, quello dell’oppure no).

Autore: Fabio De Luca
Uscita: 28/04/2023
Editore: Nottetempo
Pagine: 312
Prezzo: € 17,50

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