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David Toop, “Oceano di suono” e l’ambient(e) sconfinato di un mondo iperconnesso

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La musica del futuro sarà quasi certamente un’ibridazione di ibridi, al punto che l’idea di una fonte rintracciabile diverrà un anacronismo.

Sono frasi come questa che tracciano il confine tra “Oceano di suono” di David Toop e altri saggi “di genere”, sempre che il libro del compositore britannico sia ascrivibile in qualche modo definibile in tal modo e un genere vero e proprio, ma ci torneremo. L’unica certezza è che senza di lui e del suo lavoro di approfondimento libri come “Alla ricerca dell’oblio sonoro” di Harry Sword non avrebbero visto la luce e noi ne saremmo impoveriti e proprio per questo bisogna ringraziare ADD Editore per aver riportato in libreria questo gioiello datato 1995.

Toop non è solo un eccelso sperimentatore del suono in ambiti che si pongono ben al di là della musica “pop”olare comunemente intesa (le sue collaborazioni spaziano da John Zorn a Thurston Moore passando per tutti i più grandi innovatori sonori della seconda metà del ‘900) ma anche un saggista di altissimo calibro. Prendere in esame un “genere” (metterò sempre le virgolette) come l’ambient è un lavoro improbo, non avendo esso confini ben delineati, come, per fare un esempio strampalato, il thrash metal o la comunque liquida techno, bensì ci pone dinnanzi all’idea che non tutto è realmente classificabile.

Il suo è contemporaneamente un lavoro da antropologo e musicologo, e sottopone il lettore a una forma di viaggio del tutto inaspettata, mischiando sezioni oniriche a continui flashback e flashforward, sedendosi al tavolo con Brian Eno e andando in studio da Trent Reznor, incrociando la strada con gli Orbital e molti altri della cricca post-techno mentre alza il telefono e chiacchiera con Aphex Twin, prima e Pauline Oliveros poi e va a zonzo con Sun Ra e con lui parla di fumetti e della vita terrena dell’extraterrestre del jazz. Ognuno di loro così distante da quello che oggi si potrebbe trovare nelle tremende playlist griffate “ambient” Esamina da vicino l’idea di ambiente e del suo suono, anzi, dei suoni che lo compongono e ne costruiscono fondamenta e tetto, senza dimenticare tutto ciò che vi sta in mezzo.

Formula una quantità di idee profetiche legate alla tecnologia da restarci di sale (l’equivalente musicale di quanto fecero Dick e Gibson in ambito fanta-scientico, il trattino non è un refuso) e di come essa avrebbe inevitabilmente cambiato, di lì a qualche anno, il nostro modo non solo di ascoltarla ma anche di come veniva creata. Si è chiesto se la musica “del 2000” non sarebbe stata “un tripudio di luci lampeggianti e scambi digitali tra culture straniere”, ed eccoci qua, nel 2023, a dargli non solo ragione ma a restare sbalorditi dinnanzi a tanta lungimiranza. Dalla musica rituale giavanese agli “strumenti delle tenebre”, percussioni, fiati e ogni altra sorta di folle amenità utilizzata nel buio da società tribali per scacciare gli oscuri presagi, a quella del folklore europeo legate indissolubilmente, fino al gagaku giapponese, la cui cultura vive un dualismo rumore/meditazione in folle contrasto da qui nascono etichette assurde come la Xebec, passando per l’idea di macchina con cui immergersi nell’ambiente circostante (esemplificativa l’intervista con Ralf Hütter), fatto ora di tralicci e centrali elettriche, passione che accomuna Richard D. James e La Monte Young (intervistato pure lui), ora di orchestre di rospi e insetti, delle foreste oscure del Venezuela battute dall’autore per registrarne i suoni negli anni ’70 fino a Varése e Stockhausen, passando per il futurismo.

Il racconto è un elastico temporale che affonda il lettore in un ambiente multiforme e mutante, non si limita quindi a fare dal punto A al punto B per spiegarci come mai oggi per rilassarci ascoltiamo “Music For Airports” oppure un insensato album di Moby composto da niente più che synth analogici e dalla durata francamente ridicola, piuttosto ci mette in contatto con l’idea che ogni cosa che ci circonda è ambiente e così il nostro corpo e la nostra mente. Se ci credete pure l’anima, ma questo, va da sé, è del tutto soggettivo.

Oceano di suono” è una sfida alle nostre convinzioni, alla catalogazione della musica e di come affrontiamo nel 2023 l’idea di futuro che già negli ultimi scampoli del secolo scorso sembrava abbracciare più passato di quanto ci si sarebbe aspettati. Un sempiterno futurismo fatto di retroavanguardie, sogni realizzati e che influenzano senza dubbio alcuno la nostra esperienza di ascoltatore, critici o creatori. Ci mette in contatto con le conseguenze dell’innovazione, passata da pensiero bagnato di tecnici e artisti passati, a consumo di massa nel giro di un secolo o poco meno, oppure di come le nostre abitudini, che siano portarci appresso i nostri ascolti tagliando fuori il mondo circostante o cucendogli addosso una colonna sonora adatta, fosse roba da monarchi polverosi.

Ci siamo evoluti e Toop lo sottolinea proprio mentre questa evoluzione “pop” della specie ha schiuso la crisalide mostrando l’essere umano nuovo eppure già antico del nuovo millennio in corso, uno spaventoso leviatano del cui identikit eravamo già in possesso da tempo immemore ma che ora ci ritroviamo di fronte, pronti o meno a fronteggiarlo.

Autore: David Toop
Uscita: 17/02/2023
Editore: ADD Editore
Traduttore: Michele Piumini
Pagine: 352
Prezzo: € 22

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