1. The Score
2. Last Time Every Time Forever
3. Fairlies
4. Bob’s Casino
5. All of the People
6. East Coast Bed
7. Salt Throwers off a Truck
8. I Am So Far
9. Season for Pain
“My childhood was small but I’m gonna be big”. Così il quintetto di Dublino Fontaines D.C. esordiva nel 2019 con Big dall’album “Dogrel”. Ed è davvero il caso di dirlo: di strada ne è stata fatta abbastanza e Grian Chatten è diventato grande.
Che non fosse il classico leader della band lo si era capito sin da subito, perché la band di leader non ne ha. Dietro a quegli occhiali scuri e a quella tuta Adidas si è sempre celata una personalità dalle mille sfaccettature, in grado di attraversare i confini della nuova ondata (ormai satura, che si sta evolvendo ovviamente in altro) di post-punk e saltare verso quelli del rap (vedi la collaborazione con la meravigliosa Kae Tempest o con il duo elettronico Leftfield) per raggiungere poi la via del folk e del tanto a lui caro songwriting. La cosa notevole è che, in qualsiasi genere lui si addentri, riesce in qualche modo a centrare sempre il colpo, a convincere, a non lasciare indifferenti. Sia con le sue parole e con la sua musica, sia con le parole e con la musica degli altri.
Ho pensato: voglio farlo da solo. So dove andremo a finire come band e non è lì che voglio andare con questo disco. Volevo esprimere un paio di aspetti eccessivi della mia anima. Tutti gli altri della band sono creativi e autori di canzoni. Non volevo andare da loro e dire: No, ogni singola cosa deve essere così. Non volevo scendere a compromessi con queste canzoni.
Sotto l’ala protettiva del magico produttore Dan Carey (Fontaines D.C., Squid, Black Midi), Chatten compone questo primo disco solista attraverso 9 tracce intime, profonde, travolgenti, affascinanti, che raccontano storie di vita quotidiana, a volte dolorose e a volte semplicemente romantiche ma sempre con un’unica costante: il modo poetico in cui il suo timbro ce le narra. Mentre scrivo ho in cuffia l’incantevole traccia che si trova esattamente a metà album, All of the People, e riesco ad immaginare di ascoltarla suonata dal vivo in qualche piccolo locale di Londra o Dublino che ospita al massimo 100 persone. Via dalla calca, dalle voci che fanno da eco. Solo una chitarra, un violino, le parole che si confondono dolcemente con gli strumenti, luci soffuse, una Guinness in mano. L’ennesima riprova che Chatten è nettamente maturato anche sul piano vocale. Mentre come paroliere non c’erano molti dubbi: scrive poesie da sempre, e la sua musica in questo caso esiste come pura poesia da assaporare con tutti e 5 i sensi.
A trenta miglia a nord di Dublino, su un lungomare spazzato dal vento, si trova un vecchio casinò, il tipo di posto che chiunque abbia familiarità con il fascino arrugginito delle città costiere riconoscerà. Un locale ormai chiuso dove lo scricchiolio delle palle da biliardo e il tintinnio dei bicchieri nel lounge bar riverberavano con l’onnipresente suono metallico delle slot machine. Forse per alcuni è irrilevante, ma qui è nato “Chaos for the Fly”.
Quando è stato annunciato il lavoro solista, la curiosità era tanta. Prima di ascoltare per la prima volta questo album, quella stessa curiosità era alle stelle, in quanto i 3 singoli estratti avevano fatto ben sperare. L’album si apre col primo singolo The Score, una ballata acustica breve e nostalgica che affida alla base ritmica una drum machine sul finale. Dal videoclip a tinte psichedeliche girato all’interno di un luna park da Georgie Jesson, fidanzata di Chatten (la quale presta voce nei cori di diverse tracce del disco), il brano è stato ispirato dallo zucchero e dal tramonto di una cocente Madrid. Il secondo singolo Fairlies (di cui c’è la freschissima esibizione dal vivo su YouTube), è stato raccontato dal cantante stesso:
Ho scritto Fairlies con un caldo intenso. In parte a Jerez, in Spagna e in parte a Los Angeles, un paio di giorni prima dell’ inizio del tour dei Fontaines D.C.. E’ stata una scrittura veloce e credo di aver festeggiato ogni riga con una birra”. “Kindness is a trick to turn you strange – ‘Til you’re twisted and you’re shining like a varicose vein.
Rappresenta il pezzo più travolgente e disordinato, il chaos for the fly in tutto e per tutto, dove ogni singola nota potrebbe essere immaginata come suonata dagli stessi Fontaines D.C. (non a caso, c’è proprio il batterista della band Tom Coll a prestare ufficialmente servizio nell’album). Terzo singolo estratto e seconda canzone del disco è l’altra ballata Last Time Every Time Forever, impreziosita dalla voce della già citata fidanzata del cantante e dall’azione brillante compiuta dalla sinfonia di note che si uniscono vibranti nell’atmosfera rarefatta del brano, dalla chitarra acustica alla batteria, dal violino al pianoforte. Di questo brano il cantante dice:
È un debole 99esimo giro intorno a una città infernale di tua creazione. È infestato da gabbiani e slot machine dalla gola rauca degli anni ‘80 e infrange la sua stessa promessa a ogni ascolto.
Altra traccia in cui la voce della Jesson aggiunge ulteriore brio e colore all’album è Bob’s Casino, dai ritmi swing e retro-pop. E ancora, troviamo suoni forse più familiari e in linea con il tipico stile di Chatten, in East Coast Bed e la ballata acustica alla Bob Dylan Salt Throwers off a Truck. Ci sono poi le due tracce finali che sembrano essere state messe lì apposta per toccare le nostre corde più profonde. Una luce quasi spettrale entra dall’intimo e malinconico brano I Am So Far, mentre tutto si consuma e pian piano svanisce nella quasi inaspettata Season for Pain. Sì, perché un brano del genere non te l’aspetti a giro finito. Tutto sembra calmo, piatto, e invece ecco lì il cambio di rotta, di tempo, di melodia, di suono, di voce. “This is no season for loving, this is the season for pain”, e Grian è proprio uno di noi.
Se “Chaos For The Fly” aveva l’intenzione di spiazzare beh, ci è riuscito. Magari in modo strano, solo in superficie oppure più nel profondo, o magari solo per qualche attimo: l’ha comunque fatto. A Grian Chatten va riconosciuta una poliedricità che non appartiene a tutti i suoi colleghi generazionali ma che necessita, in ogni caso, di un segno distintivo che permanga nel tempo. E lui questo ce l’ha.