Omicidi brutali, un uomo solo, “L’ultimo uomo” in mezzo ad alieni e nazisti, il suo corpo che va in mille pezzi da dentro, marcisce, impazzisce. Anzi, è già pazzo, la schizofrenia lo sta divorando, eppure a lui sembra che sia perfettamente coerente. Il ragionamento tale per cui lui è l’ultimo baluardo prima del male assoluto, della fine, lo porta a massacrare le sue vittime tanto da meritarsi un soprannome: “Il Vampiro di Vitry”.
Inizia così, come il resoconto delle azioni di un killer seriale nel Vecchio Mondo, nel suo cuore francese più oscuro, “Le radici del male” di Maurice G. Dantec. Quasi un saggio, e lo è. La penna è quella del cognitivista Arthur “Dark” Darquandier, protagonista del romanzo e suo stesso metacreatore dietro la cui “maschera” (inteso come “persona”) si nasconde il “punk” Dantec, membro di svariate band tra cui i suoi Schizotrope i cui arbusti, sebbene pochi, sono fioriti dove il seme del male era stato piantato nel 1995 con questo libro. Se fosse un disco non sarebbe però il loro “Le plan”, anche se avrebbe perfettamente senso, lo vedrei meglio come “City: Works Of Fiction” di Jon Hassell. Complesso, intricato, schizoide al punto da non dare respiro eppure follemente organizzato.
Dantec/Darquandier guarda nel caos e trova un suo mondo: “L’uomo è sia una macchina per controllare il caos, sia un propagatore di disordine”. La caccia all’assassino è solo un tassello di un disegno ben più grande. Non come quello del suo mostro, il vampiro Andreas Schaltzmann, però poco ci manca. I complotti visti come li vede lui sono figli di una mente malata (e nella realtà ignorante), ma dietro si nasconde sempre qualcosa, poiché, a dirla con Wu Ming 1, nelle ipotesi di complotto, anche le più disparate, c’è un lumicino di verità, a cui si aggiunge una tonnellata di merda tanto ridicola quanto pericolosa (la chiosa è mia, non di WM, è chiaro). E così dietro la serie di omicidi perpetrati dal Vampiro si nasconde altro. Darquandier è visto come un ciarlatano, nel mondo anni ’90 (il libro è del 1995), inserisce i dati in suo possesso in un computer che li processa e studia il caso assieme all’essere umano, ne vaglia ogni singola possibilità.
Da qui in poi la faccenda si complica, il romanzo si trasforma impercettibilmente. Non è il classico thriller americano a là Deaver, con gli sbirri e il detective che rischiano ma sai che sono tanto ben organizzati da riuscire nell’intento, in “Le radici del male” il mondo si sta trasformando e se lo sta facendo è anche grazie a Dark. Il suo computer diventa un’interfaccia IA provvista di coscienza. Il salto quantico che fa Dantec è fuori da ogni logica ma è come vedevamo il mondo sul finire del Millennio, spinti in avanti dall’era tecnologica ormai giunta a un punto di svolta accelerato nella fiction e a cui stiamo arrivano più o meno ora, nel 2023. Non si sa come ma ci ritroviamo così in un racconto cyberpunk, brutale e spesso asettico ma ancora e forse più caotico di quanto non lo fosse Gibson, molto più lineare e pulito di quanto non lo fosse Dantec.
L’umanità della finzione si adatta in fretta ai cambiamenti mentre il lettore viene spinto a girare una miriade di angoli in un labirinto. Filosofia orientale divorata e risputata sulle pagine (come e più di quanto potesse fare John Cage nelle sue incursioni zen), siamo obbligati a confrontarci con un rave mentale ipertecnologico mentre Dark e i personaggi che gli gravitano attorno, sempre diversi, nessuno che rimanga tanto a lungo da vedere la fine dell’incubo (a parte la dottoressa Svetlana Terekhovna), solo lui, la sua macchina senziente/doppio di sé stesso e un gruppo di assassini marci fino al midollo, una Manson Family techno che si muove nel cyberspazio così come nella realtà, in un folle turbine di massacri senza fine. La mente umana contorta, demolita dal proprio passato che diventa componente al silicio per distruggere i propri simili, senza umanità, senza ritegno alcuno. Scene oltre il limite della sopportazione che ustionano gli occhi, impossibili da pensare scritte da qualcuno e non parte di una cronaca reale, così tanto disturbanti da dovercisi approcciare con cura. Pensieri latenti sul Male dell’Umanità, la voglia di annichilire e autoannichilirsi, il nazismo che ritorna come pensiero illogico eppure estremamente organico nell’evoluzione della specie, un virus senza pari e senza fine, anche quando si è ormai pronti al balzo verso lo spazio, qui, in mezzo alla merda ne aggiungiamo di ulteriore. Più la storia si srotola mozzando il fiato più il carico emotivo è alto, ci obbliga ad affrontare quello che vediamo ogni giorno online o sulle pagine di un giornale, di come nemmeno evolversi ci rende liberi dalle nostre vestigia maligne. Per raggiungere il suo obiettivo Dark dovrà fare “pace” col male e divenirne strumento.
Non sono forse i compromessi cui dobbiamo piegarci ogni giorno? Non ci sale il vomito quando per abbattere un ostacolo ci vediamo costretti ad adottarne alcune propaggini? È questo che Dantec cerca di capire, ma senza una risposta reale, né negli scritti antichi né attraverso il suo. “Le radici del male” è un coltello di ceramica che affonda chirurgico nel cuore del pensiero moderno e fa specie come il mondo, quello fuori dalla finzione, non sia cambiato di una virgola in quasi trent’anni. Di come, invece, le profezie negative dell’autore francese si siano avverate, pronte ad accompagnarci fino alla fine di questa civiltà sporca all’inverosimile.