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“Stag”, un viaggio musicale nei luglio infernali degli ultimi ventisette anni

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Chissà dov’ero a Luglio del 1996. Chi se lo ricorda, sono passati ventisette anni!

Di quel periodo ho solo memoria di una forte alluvione avvenuta in in Alta Versilia e Garfagnana sul finire della primavera, che nei giorni successivi portò a valle ed in mare corpi e pezzi di vite finite, in Toscana non si parlava d’altro.

Certo che peccato, nel 1996 io i Melvins non li conoscevo, sì lo so, quelle come me che non solo suonano ma anche ascoltano la musica stronza dovrebbero dire che lo hanno sempre fatto e che già a tre anni erano Guinnes World Records di headbanging e a quattro si facevano autografare le chiappe da Gene Simmons. Ok, vista Goin’ Blind questa battuta potevo evitarla. Sì, potevo ma no: non ho voluto e poi stiamo parlando dei Melvins che dei Kiss erano fan tanto da, appunto, fare una cover di questo capolavoro di scrittura pedofilo/musicale nel 1993 che inserirono all’interno del loro album più famoso, Houdini, che poi è stato il primo che ho comprato(credo nel ’97 o ’98) ma non perché era stato co-prodotto da Kurt Cobain, che pure apprezzo, bensì perché la copertina mi piaceva ed aveva un prezzo accessibile per le mie tasche da sempre disperate. Giuro.

Mi viene spontaneo di fare una delle mie tante divagazioni e chiedermi se nel 2023 sarebbe mai stato possibile scrivere una canzone come Goin’ Blind del 1974 visto il politicamente corretto che ci morde sul fianco con la scusa della benevolenza ma che in realtà attualmente non è altro che una macchina della censura la quale fa invidia all’Inquisizione Spagnola. Ah! Ho scritto Inquisizione Spagnola! Tocca fare questo.

Che vi devo dire, io ho iniziato ad avere i miei primi gusti musicali con ciò che si sentiva in famiglia, canti della Resistenza, musica leggera italiana, cantautorato, sigle dei cartoni animati, Classica e musical, qualche artista rock e pop ascoltato dai genitori c’è stato in quel periodo come ad esempio David Bowie che ho amato fino all’ultimo ed i Queen che non ho mai digerito e come dimenticare Michael Jackson! Di sicuro casa mia però non era preparata al metal, al noise, al punk o all’industrial che sarebbero entrati a gamba tesa da lì a poco portando con sé piercing, capelli rasati o colorati ed altri dissapori compiacendo la mia indole triste, riflessiva e mai quieta abbracciandomi fino a qui e suppongo alla morte.

Probabilmente è proprio nel ’96 che iniziavo a discostarmi anche dagli ascolti di famiglia ma non mi ero definita, ancora non capivo quanto non avrei potuto fare a meno della musica, quante volte mi avrebbe salvato dalla pazzia e dall’autodistruzione e così, non avendo ricordi ben chiari di me e di questo luglio del 1996 prendo in mano questa introduzione di devastazione personale e sociale per poter parlare dei Melvins e di “Stag“; cosa ci potrebbe essere di più adeguato del disagio per scrivere di un album del gruppo mondialmente conosciuto e citato come l’ispiratore del (breve) movimento grunge?

Stag” è l’ottavo album dei Melvins, per la precisione il precedente rispetto a quello che per me è il capolavoro della band: “Honky“. Formato da ben sedici tracce si avvale, oltre ai musicisti originali Buzz Osborne (voce, chitarra) e Dale Crover (batteria, voce subentrato a Mike Dillard nel 1984), di Mark Deutrom (loro bassista dal ’93 al ’98 qui in vesti anche di polistrumentista) e di Dirty Walt, Mac Mann, GGGarth, Dr. Beat, Bill Bartell e la moglie dello stesso Osborne, Mackie, disseminati nei vari brani.

A proposito di Mackie Osborne non posso non dire due cose. Oltre ad essere la moglie del frontman di questo gruppo è anche illustratrice di molte cover album tra cui proprio lo stesso “Stag” e non ha soltanto lavorato alle copertine per la band di suo marito ma anche per Circle Jerks, Social Distortion, Rancid, Melt-Banana, The Offspring, All, The Vandals, Wayne Kramer, Tool, Bad Religion, Mr. Bungle e molti altri. Siccome non bastava ha pure collaborato come musicista sia coi Melvins che altri tra i quali i Fleabag.

Il matrimonio a cui avrei voluto assistere

Se dovessi descrivervi con una parola questo album, come per tutti gli altri dei Melvins oserei dire “disadattato”.

Si parte con The Bit, un’arabeggiante tortura che è una delizia per i miei timpani ed un godimento per la mia testa e se poteva sembrare la direzione che il disco voleva prendere eccoci inciampare nella terza traccia, Bar-X the Rocking M, dove una street band – e non poteva essere diverso vista la presenza di Dirty Walt dei Fishbone – viene portata a passeggio da chitarre distorte e cantato grasso e malvagio, mentre rotoliamo per le strade di paese sotto un sole cocente credendo che finalmente abbiamo capito l’andazzo ci accorgiamo che nemmeno stavolta si è capito un cazzo(scusate il francesismo ma faceva rima) ed eccoci a percorrere una abulica processione desertica che parte da The Bloat fino ad arrivare a Black Block classica canzone pacifica alla Melvins, in cui un’armonia soave accompagna la narrazione di un testo che è tutto il contrari:

I cut the throat of the billy goat and let it bleed
His frozen eyes
were far more than I
It’s kind of nice to know the things that make me happy
Just realize keep the dog away from me

I found it don’t matter when
It’s not nice to feel alone inside
This little goat won’t mind
All my fear are just vanishing
And the blood will let me find a way
Will open Heaven
Down in here all my dreams are filled
Good and bad they seem to be the same
And never lonely
If I just let this power in It will work it will make me feel O.K.
Be sure forever

In conclusione, “Stag” è una lenta carneficina governata da bassi prepotenti dove la chitarra tagliente assieme alla batteria coi suoi piatti spacconi diventano un’unica nube acida pregna di fulminante elettricità e la voce Buzz Osborne ne è traghettatrice, è un album fatto di alti e bassi, a tratti bipolare spesso eccessivo e menomale. Non so dire se sia uno dei più malati che il mai instancabile gruppo abbia fatto ma il disagio lo si sente bello forte in questo pezzo di Storia. Lo sento ora con una stagione anomala che viaggia tra i 35 e i 40 gradi (sottolineata dagli stessi Melvins in questo post) ma sono quasi sicura che anche nel ’96 non fosse da meno.

Sono certa che questo album violento e beatamente rumoroso sia perfetto per qualsiasi luglio infernale di chi, come la sottoscritta, vive l’amata estate come un supplizio e non ha importanza se è datato 1996 perché potrebbe essere una cosa uscita anche oggi. Non per fare quella del “si stava meglio quando si stava peggio” perché, a parte che nel ’96 si stava davvero meglio -nonostante forse noi umani non siamo mai stati veramente meglio- sia economicamente che climaticamente ed oserei dire anche socialmente ma mi sono accorta che tutto quello -o quasi- che nel Rock ed i suoi derivati è uscito tra la fine degli anni ’80 e i primi cinque/sei anni degli anni 2000 non è invechiato male come le produzioni precedenti o successive a questo periodo. Certo, ci sono delle eccezioni eh ma forse questa storia meriterebbe un capitolo a sé e non voglio essere troppo tediosa.

Ma allora cosa ci dice di preciso “Stag” dopo tutti questi anni? Che nulla è cambiato se non in peggio, che ci eravamo illusi di uscire dalla merda e che invece adesso ci siamo dentro ancora più di prima. Disadattato eri, disadattato rimarrai in qualsiasi condizione economica, temporale e sentimentale. Certo, chi si è fatto abbindolare che la vita sia qualcosa di più rispetto a ciò che è, scambiandola per un paradiso donato i dagli dèi non capirà mai le mie parole e mi additerà ancora come depressa, come antisociale e come tutto ciò che non vuol vedere perché in realtà lo spaventa e potrebbe distruggere questa bella cartolina da spiaggia che con sempre più fatica ci viene descritta.

In conclusione, tenetevi le vostre cartoline, io vado a farmi cullare ancora una volta da Skin Horse prima che questi ultimi brani mi portino alla fine dell’album. Buonanotte, qualsiasi sia l’ora in cui leggete!

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