Pubblicato in tre atti, il cui ultimo è uscito lo scorso 16 giugno, “Il canto del villaggio” è il nuovo album della giovane cantautrice Livrea. I tre atti de Il Canto Del Villaggio raccontano una storia che parla di demoni, angeli, sante, creature mitologiche e figli del futuro: una raccolta di undici brani che tracciano il percorso verso la liberazione dai demoni che la circondano affrontando paure, delusioni, sogni e aspettative.
L’abbiamo incontrata.
Per prima cosa, ti piacerebbe raccontare a chi ci segue chi è Livrea, quando e come nasce il progetto musicale che oggi ti vede coinvolta?
Livrea vede la luce circa quattro anni fa, l’impulso di scrivere testi esiste da prima, ma durante l’estate del 2019 ho registrato i primi due brani, erano una versione acustica di quelli che poi sarebbero diventati “Vinile” e “Bolla”. Li ho scritti a casa dei miei genitori, tra le zanzare d’estate e la nebbia d’inverno, cliché della bassa veronese; eppure, tutto ciò mi ha ispirata davvero molto. Non avevo ancora deciso quale sarebbe stato il nome d’arte, poi è arrivato “Livrea”: inizialmente non avevo neanche ben chiaro cosa significasse, mi piaceva la dolcezza che trasmetteva il suono della parola. Infine, si è rivelata perfetta per tutto ciò che volevo comunicare: metamorfosi ma anche nascondiglio, abito performativo ma anche essenza.
Una curiosità che riguarda proprio la scelta del tuo nome d’arte: la livrea è un elemento fisico con un valore fortemente visivo, se pensiamo banalmente al piumaggio degli uccelli. Ti va di spiegarci il perché di questa scelta? Quanto la dimensione “visiva” è importante per la tua musica?
Direi che la dimensione visiva sia fondamentale in quest’ambito! Credo che la musica possa oltrepassare il confine uditivo e sfociare molto facilmente in altri mondi incontrando la vista, ma anche il gusto, il tatto e l’olfatto. Per me è molto importante sottolineare l’importanza di questa ibridazione che rende le canzoni dei paesaggi capaci di coinvolgere completamente l’ascoltatore/spettatore. La creazione di un immaginario visivo è complementare all’esecuzione di un brano, supporta il coinvolgimento emotivo e la comprensione di un determinato percorso artistico. E poi sono molto attratta dai colori, dalle texture e dalle geometrie presenti in natura. L’uomo non si è inventato nulla, il design delle telecamere di sorveglianza prendono spunto dagli occhi disegnati sulla coda del pavone. Ma questa è un’altra storia.
La terza e ultima parte del tuo album di esordio “Il canto del villaggio” è uscita da poco per Zona Neutrale ed è stato distribuito da Believe. Ti va di raccontarci il perché di questa suddivisione in atti?
Sin da principio “Il canto del villaggio” è stato pensato come un racconto con un inizio e una fine. La suddivisione in tre atti è stata un’idea (geniale) di Francesco Mameli pensata per enfatizzare il carattere narrativo. Questo concetto risulta ancor più imponente nella costruzione delle copertine, caratterizzate dalla presenza di personaggi di fantasia che a loro volta rappresentano un brano specifico. Le copertine sono a tutti gli effetti delle foto di gruppo che, atto dopo atto, si completano e danno vita al “villaggio”.
Sempre restando su questo elemento, quanto c’è di “teatrale” nella tua proposta musicale? Lo stesso artwork dell’album e la modalità di comunicarlo sembrano dominati da un forte elemento scenico, con costumi e maschere molto scenografiche: da dove nasce questa scelta?
Mi piace pensare che tutto ciò che ho realizzato viva in qualche mondo tangibile, e che nella fantasia possa emergere anche una sorta di realismo, motivo per il quale faccio fatica a definirlo “teatrale” o “scenico”. Questo perché gran parte degli elementi che mi hanno ispirata sono esistiti realmente nel tempo e nello spazio: gli abiti prendono ispirazione dal mondo contadino, ad esempio, le maschere dalla tradizione balcanica, le foto di Luigi Ghirri furono scattate nei luoghi che vivo quotidianamente. Il reale alimenta la fantasia di continuo e questo è il motore che muove la mia ricerca.
Il “villaggio” che troviamo menzionato nel titolo è un luogo puramente metaforico? O ci sono rimandi a uno spazio fisico e reale?
Il paesaggio che ospita il villaggio trae moltissima ispirazione dai luoghi meravigliosi che mi circondano. La principale fonte di riferimento è stata la casa dei miei nonni, un casolare situato nella bassa veronese in una zona chiamata “I Vegri”. Fu costruito intorno ai primi anni del ‘900 e da allora sulle mappe non è cambiato nulla, di fatto è un luogo che è rimasto immutato nel tempo e nello spazio, lo trovo davvero affascinante.
L’album si apre con “Ascoltami”, che ha quasi il sapore di un’invocazione, un imperativo per cercare di essere compresi dagli altri. Quanto ti aiuta la musica nell’esprimere quello che a parole è difficile trasmettere?
Moltissimo ovviamente. Scrivere testi è un modo per esorcizzare ciò che accade, processare la quotidianità. Il momento catartico avviene sul palco, quando la musica viene trasmessa in modo diretto e lo scambio con il pubblico diventa un rituale potentissimo.
Le tracce del disco danno l’opportunità di guardare all’interno del tuo mondo interiore grazie al loro taglio fortemente personale. Possiamo dire che si tratta di un lavoro autobiografico?
Sotto l’aspetto autoriale sicuramente sì. I testi sono estremamente personali anche se non mi dispiacerebbe provare a scrivere per altri artisti; credo che le gioie, i dolori, gli amori, la speranza siano temi profondamente umani e quindi anche condivisibili. Dal punto di vista strumentale, “Il canto del villaggio” è un disco collettivo che ha visto la partecipazione di molti musicisti bravissimi, ognuno si è ritagliato uno spazio e ha preso parte a questo “pasto”.
Da un punto di vista strettamente musicale, il lavoro è dominato da sonorità elettroniche chill e ambient. Ti va di raccontarci dove nasce l’ispirazione per tutto questo? Ci sono situazioni, proposte di altri artisti, sottogeneri o altro che ti influenzano maggiormente?
La vicinanza e il lavoro a stretto contatto con Antonio Citarella (Nubula) mi ha aiutata moltissimo, le nostre necessità si sono incontrate nel momento giusto e ci hanno permesso di costruire questo mondo sonoro che ci rappresenta molto. Il sound variegato ha radici jazz, neo-soul, primo RnB, hip hop, funk.
Studio o live: quale delle due dimensioni preferisci e perché.
Live! Sarà lo stato d’animo gasatissimo di questo periodo ma non vedo l’ora di suonare in ogni angolo della terra. Il live è la “resa dei conti”, mette in moto meccanismi imprevedibili e memorabili.
Per concludere, mi piace sempre lasciare spazio ai progetti in arrivo per gli artisti e le artiste con cui chiacchieriamo. Raccontaci cosa c’è in cantiere per Livrea nei prossimi mesi!
Livrea nei prossimi mesi cercherà di portare il suo villaggio in giro per l’Italia, con uno show cucito su misura per raccontare al meglio tutto quello che è stato descritto fino ad ora. La speranza è quella di riuscire ad accogliere tutti i volti nuovi e di far brillare gli occhi!