1. Unu cu lu baffu e doi cu li rizzi
2. La cummare Malota
3. Mannaggiachitammuertu
4. La muscia nchiata
5. La cummare Furmiculicchia
6. Eggi segretu
7. Camina ciucciu
8. Lu porcu cu tre piedi
9. Bumbinieddhu miu
10. Ossiceddhe
La narrazione generalista vede il Salento come un pezzo unico, una terra di “sule, mare, ientu” dove “sciamu a ballare”. Ma lo stivale d’Italia ha a sua volta importanti differenze all’interno del suo territorio, addirittura la stessa provincia di Lecce non può essere vista come un tutt’uno, con importanti differenze culturali e linguistiche tra città e interno. In particolare le genti del Capo, il territorio che si trova a sud di Gallipoli, Otranto e Maglie fino ad arrivare a Santa Maria di Leuca, dove lo Ionio si mescola con l’Adriatico, sono battezzate in tono dispregiativo come “poppiti”, da coloro che ritengono che ci debba essere sempre qualcuno più a sud di sé.
“Poppiti” è un termine che deriva dal latino e significa “post-oppidum”, cioè coloro che vivono fuori dalla città; è l’entroterra, dove il salentino del Capo ha sviluppato un dialetto tutto suo, talmente stretto da risultare difficilmente comprensibile anche da chi vive a 30 km di distanza. E come ogni popolo rurale raccoglie attraverso il suo dialetto tradizioni e storie che altrove non avrebbero sponda.
I Mundial, capitanati da Carmine Tundo, noto per aver avviato assieme a sua sorella il progetto La Municipàl, avevano dato due anni fa alle stampe “Scércule”, disco che aveva al centro la tradizione musicale recuperata attraverso il maestro Roberto Mangialardo ed il batterista Alberto Manco. In Culacchi il trio salentino rafforza l’incrocio di generi, portando da una parte un’elettronica più spinta (e moderna, ballabile ed orecchiabile), dall’altra dà maggiore spazio alle tre voci narranti, che in Unu cu lu baffu e doi cu li rizzi introducono i musicisti. La cummare Malota (“Malota” dovrebbe essere ‘scarafaggio’) fa da manifesto programmatico al contenuto restante nel disco: da una parte la storiella inventata di questa donna che si sposa con un topolino, dall’altra lo stacco in cassa a quattro nella seconda parte del pezzo che mette in piedi questa sorta di electro-taranta, molto piacevole e interessante.
Cosa narra “Culacchi“? Sono per lo più storielle, anche filastrocche per bambini, qualche volta cazzeggio puro (Mannaggiachitammuertu). La cummare Furmichulicchia si direbbe una variante de La cummare malota, anche perché solo in questo caso la lingua si avvicina più al leccese di città che al dialetto del capo. Lu porcu cu tre piedi, singolo di lancio che ha fatto da apripista per questo disco, si caratterizza per la deriva nonsense della storiella (interrotta e ripresa, evidentemente tra un racconto e l’altro c’è sempre un bicchiere di “mieru”), e ricorda un po’ lu Porcu Pri Pri, storia neorealista e tristissima di un maiale macellato per votazione al posto dei suoi fratelli Pri-Pro e Pri-Pra in quel di Montesardo, dove tuttora si tiene la sagra in suo onore (vorrei dirvi com’era questo maiale, ma quando sono andato era già finito).
L’esperimento, musicalmente parlando, è di quelli senza dubbio fighi. D’altronde Carmine Tundo già con La Municipal aveva manifestato un’attitudine verso la curiosità e la creatività, che in questo progetto ha trovato un modo alternativo di raccontare le radici salentine abbandonando triti e ritriti cliché a favore di qualcosa di più autentico e allo stesso tempo di più affine alla musica di oggi.