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Retrospettive

Sinéad O’Connor, un angelo contro tutti

Photo: Kathryn Ferguson

La morte di Sinéad O’Connor ha destabilizzato il mondo intero e in particolare la comunità musicale, quella stessa comunità che la prese a pesci in faccia per le sue concitazioni, la sua sregolatezza, la sua proverbiale esagerazione, sia nella vita privata che sul palco. È sempre stato difficile apprendere o ammettere che il rock è un diritto anche al femminile. Tutti possono farlo. Lo sappiamo tutti che il pregiudizio uccide l’uomo da molti secoli, ma in qualche modo Sinéad ci ha fatto capire che nel panorama musicale non sempre esiste unione, famiglia e rispetto, ma si può passare in un nonnulla dalla cima al fondo per colpa di discografici e colleghi, ma anche per colpa di se stessi.

C’è da prestare molta attenzione quando si parla di Sinéad O’Connor, perché è stato un personaggio così controverso e sfaccettato che è difficile collocarla all’interno degli steccati prestabiliti. Con queste premesse capiamo subito che ci troviamo davanti ad uno dei volti più irrequieti della musica tutta. Già dall’infanzia (quando aveva poco più di dieci anni) i genitori si separarono e venne immediatamente affidata alla madre e da lì cominciò, con i suoi fratelli, a subire i primi abusi da parte della stessa, alcolizzata e instabile. Venne poi trasferita e messa in custodia presso diversi collegi cattolici, ma anche lì ci sarà vita breve perché verrà poco tempo dopo espulsa e successivamente rinchiusa in un riformatorio per via di alcuni piccoli furti.

La mia vita professionale come artista ha sempre funzionato bene, i problemi sono stati quasi esclusivamente nella mia vita privata, in momenti di vera rabbia coi miei fidanzati e cose così… Probabilmente avevo ottime ragioni per essere arrabbiata, ma il “volume” era troppo alto. Avevo reazioni spropositate rispetto alle offese ricevute.

La carriera di Sinéad inizierà pochi anni dopo, a 14 anni per l’esattezza. Impara a suonare la chitarra e inizia a comporre canzoni mentre ancora frequenta la scuola. Fin da giovane si unisce al gruppo irlandese In Tua Nua, con la quale esordisce come autrice nel brano Take My Hand, che diventa un successo nel 1984, e in seguito collabora con il gruppo dei Ton Ton Macoute, collaborazione che le vale un contratto con l’etichetta indipendente Ensign Records. Questa esperienza la porterà a trasferirsi a Londra per lavorare al suo primo e vero album “The Lion And The Cobra“, che lei stessa ha scritto e prodotto nel 1987. Sinéad rivela così al mondo e ai riflettori tutto il suo impeto e tutta la sua energia che stampa e parte del pubblico bollano per noncuranza dell’immagine, mancanza di gusto e oltraggio alle regole dell’idea imposta. L’album, legato sia al punk che alla new-wave pur non nascondendo una certa vena pop, è comunque un immediato successo, e verrà ricordato anche per l’ospitata di una giovane Enya, che nel brano Never Get Old recita in gaelico alcuni passi della Bibbia. Una certa rivisitazione del Trip Hop come in Drink Before the War e la chitarra disperata di Just Call Me Joe apriranno a Sinéad O’Connor il sipario del mondo del music business, dei grandi teatri live e perfino del cinema: in occasione del concerto del 1988 al Dominion Theater di Londra verrà ripresa dalle telecamere del regista John Maybury e l’anno seguente troverà un posto come esordiente nel film drammatico Hush A-Bye Baby di Margo Harkin.

Nell’immaginario collettivo la O’Connor è però associata al successivo album “I Do Not Want What I Haven’t Got“, che assume connotati più morbidi, quasi spirituali. All’interno di esso è incluso il celeberrimo singolo Nothing Compares 2 U, una ballata struggente, spietata, agrodolce che raggiunge i vertici delle classifiche mondiali. È forse singolare che il successo planetario arrivi con una cover, che non è frutto di un incontro artistico tra due anime ma di circostanze: questo brano è stato infatti composto da Prince nel 1985 per i The Family, uno dei suoi progetti paralleli, rivelatosi poi un insuccesso. Lo stesso Prince dichiarerà poi che senza l’interpretazione di Sinéad il brano sarebbe stato destinato a rimanere sconosciuto. Il disco ottenne un enorme successo, trainato anche dai singoli successivi The Emperor’s New Clothes e Three Babies, portandolo inizialmente a ben 7 milioni di copie vendute in tutto il mondo. “I Do Not Want What I Haven’t Got” è anche una riflessione nei confronti della madre che morì prematuramente a causa di un incidente automobilistico nel 1985, e alla quale Sinéad dedicherà in Feels So Different la “Preghiera della Serenità” di Reinhold Niebhur in apertura. L’album verrà premiato con il primo Grammy Awards per il miglior lavoro di musica alternativa nel 1991. Tuttavia, Sinéad si rifiutò di ritirare il premio. Da qui non c’è storia, il successo è palese e meritato e la musica può essere un mezzo per il riscatto per l’artista, che sembra poter mettere una pietra sopra tutto quello che è successo nella sua adolescenza.

La scia positiva della carriera dell’artista volge però già verso un epilogo già scritto: ci aspetta una tragica parabola discendente a cui il pubblico può assistere critico o impotente, a seconda dei punti di vista. Una serie di avvenimenti clamorosi renderanno Sinéad O’Connor il personaggio controverso che tutti noi conosciamo. Nel 1992, durante un episodio della trasmissione televisiva NBC Saturday Night, l’artista irlandese cantò War di Bob Marley cambiando alcune frasi dell’ultima strofa e facendo riferimento esplicito alla pedofilia, reato di cui erano stati accusati alcuni esponenti del clero cattolico negli Stati Uniti, per poi strappare in favor di telecamera una foto di Papa Giovanni Paolo II esclamando “fight the real enemy“. Qualche giorno dopo, sul palco del Madison Square Garden, in occasione di uno show dedicati ai 30 anni di carriera di Bob Dylan, il pubblico la fischiò.

In conseguenza del gesto, pochi giorni dopo quando la cantante salì sul palco del Madison Square Garden in occasione del concerto dedicato ai 30 anni della carriera di Bob Dylan, il pubblico cominciò a fischiarla ed a insultarla. Sinéad dapprima attese in silenzio che il pubblico si placasse, quindi perse le staffe, fece segno di non avere alcuna intenzione di cantare e incominciò a recitare proprio il testo della canzone di Marley già fatta la settimana prima in televisione. Subito dopo, lasciò il palco davanti a un pubblico impietrito, accolta successivamente da un abbraccio solidale di Kris Kristofferson.

Inutile dire che questo suo carattere eccentrico e anarchico si ripercosse sulla sua arte negli anni a venire e successivamente il suo modo di fare non gli rese vita facile in un ambiente crudele. Semplicemente Sinéad O’Connor divenne un’artista poco vendibile nel mondo asettico dello showbiz musicale. È uno dei periodi più duri per la O’Connor, che viene continuamente stroncata dai giornali e cade in preda di una oscura depressione. Gli darà aiuto e conforto Peter Gabriel, che la volle con sé nel cast del Womad Tour. Pubblicherà anche “Universal Mother“, album del 1994 che non ottenne particolari consensi, nonostante venga considerato proprio da lei una “preghiera dall’Irlanda“, una confessione a cuore aperto che la stessa O’Connor usa per uccidere i suoi demoni e i suoi psicodrammi familiari, individuali, sociali e politici. È uno degli album più morbidi e intimi della sua discografia, ed è paradossale che venga pubblicato dopo aver letteralmente bruciato la scena negli anni precedenti.

Nemmeno gli album successivi riusciranno a raggiungere il picco di popolarità dei primi lavori, non solo per via del diradarsi delle apparizioni pubbliche, ma anche per la scarsa promozione riservata ai suoi lavori. La cantante dai capelli rasati darà nuovamente alle stampe piccole opere colpevolmente sottovalutate, come l’ep del 97 “Gospel Oak“, una piccola gemma nascosta che si trova in bilico tra rabbia e rimpianto. Un lavoro che è l’ennesima prova che la musica di Sinéad batte ancora di fede, ma che il tutto è soffocato da una vita frenetica, vissuta al cardiopalma, al di sopra delle proprie possibilità psicologiche.

Cercavo di trasportare su di me un dolore grande come l’Empire State Building. Ero piena di dolcezza, ma anche di rabbia, e se non la buttavo fuori rischiavo di impazzire. Oggi mi sento forte e ho un’immensa fede in Dio.

Sinéad sembra ormai essere vista più come un’attivista che un’artista. Sul finire degli anni ’90 la cantante, sempre più impegnata ad esplorare dimensioni religiose e spirituali, viene perfino ordinata prete da un movimento cattolico indipendente e non riconosciuto dal Vaticano, la Latin Tridentine, decidendo di farsi chiamare Madre Bernadette Mary. Tutto ciò la porterà a nuovi scontri mediatici e ad un’emarginazione ancora più forte che la costringeranno di fatto ad annunciare nel 2003 l’intenzione di abbandonare l’industria discografica. Pur continuando ad esibirsi dal vivo, nel 2005 dichiara in una intervista concessa a Interview che la sua missione è quella di “salvare Dio dalla religione“. Ormai il suo personaggio è incontrollabile e secondo alcuni discografici la O’Connor litigava più o meno con tutti, anche con i suoi connazionali U2, che accusò dicendo: “gestiscono in modo mafioso la scena musicale dublinese

Ad inizio dei 2000 nascerà “Faith And Courage“, un lavoro sull’anima, un disco ancora una volta spirituale, religioso che Sinéad racconta come “un’idea musicale che concilia la tradizione irlandese con quella del reggae. Ma c’è anche pop, perché dopo tanti momenti seri avevo voglia di divertirmi“. C’era bisogno di guardare da un’altra parte, lasciare un po’ da parte i drammi di quell’infanzia segnata dalla violenza e dalla solitudine, ma anche quelli più recenti come l’allontanamento della figlia Roisin nel corso battaglia legale sulla custodia della bambina con il padre, il giornalista dell’Irish Times, John Waters. Sono stati anni intensi e tormentati, segnati da due tentativi di suicidio. E questo cambio di passo nelle sonorità, che appunto abbracciano il reggae, paesaggio inedito fin qui nella sua discografia, è esempio lampante di questa voglia di fuga dalla realtà.

Nel 2007 Sinéad O’Connor conosce uffialmente il demone della malattia mentale, quando le viene diagnosticato il bipolarismo. Da lì in poi la depressione si fa ancora di più pesante, e l’artista irlandese convive con una quantità sbalorditiva di psicofarmaci che metterebbero in crisi la quotidianità di chiunque. I primi ricoveri, i continui rapporti spezzati, l’umiliante matrimonio lampo con Barry Heridge conclusosi dopo 18 giorni con un ennesimo tentativo di suicidio. Sinéad prova comunque ad andare avanti e con il doppio album “Theology” ci ricorda che è ancora una delle più grandi vocalist degli ultimi vent’anni: la cantante sembra sorprendentemente aver fatto pace con se stessa e questa volta vuole inseguire di nuovo la musica e aggiornare il progetto. Un progetto che alla fine si tratta dell’ennesimo restauro di canzoni, che vede brani riarrangiati di Curtis Mayfield, Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, ma che regalano comunque momenti di alta classe, come nel brano Something Beautiful. Il ritorno alle scene è poco chiaro, ma questo non le impedisce di pianificare un ritorno più ragionato e magari anche sorretto da nuove idee.

Saranno cinque anni intervallati da live e pause, fino al 2012 quando esce “How About I Be Me (And You Be You)?” un buon disco che non raggiunge le vette del passato e non aggiunge nulla al suo sound. La cosa che fa molto piacere è che questa volta si vede che Sinéad voglia curare la propria persona. La cantante vuole riconquistare il pubblico in maniera ancor più determinante, lasciandosi alle spalle tutto quello che è successo e due anni più tardi ritorna con un ennesimo disco, “I’m Not Bossy, I’m The Boss“, un altro lavoro che questa volta ha qualcosa in comune con i suoi classici. È fatto di musica liscia, pulita, un lavoro di mestiere, certo, in cui brani come Kisses Like Mine e Where Have You Been? fanno presa su di un pubblico più mainstream. Le vendite non sono spaziali, ma dimostrano che il carisma di Sinéad O’Connor è ancora vivo e vivido.

Tutto sembra limpido e perfetto, almeno in apparenza, fino a quando nel 2018 Sinead O’Connor decide di fare una scelta importante, ovvero quella di cambiare nome in Shuhada’ Davitt e di convertirsi all’Islam. Sinéad in un’intervista al The Late Late Show Irlandese risponde:

Ho iniziato a studiare le Sacre Scritture di diverse religioni, cercando di trovare la verità su Dio. Non avrei mai pensato che mi sarei unita a una religione, avevo così tanti pregiudizi sull’islam… ma poi ho iniziato a leggere, e ho letto solo il secondo capitolo del Corano e ho realizzato: ‘Oh mi Dio, sono a casa!’ Sono stata musulmana per tutta la vita senza rendermene conto. Sono orgogliosa di esserlo. Questa è la conclusione naturale del viaggio di qualsiasi teologo intelligente. Tutto lo studio delle scritture conduce all’islam. Il che rende ridondanti tutte le altre scritture

Questo nuovo percorso spirituale può essere una volta per tutte il riscatto che Sinéad tanto cercava, ma la vita non sarà clemente con lei, come non lo è mai stata d’altronde. Nel 2022, suo figlio Shane si toglierà la vita a soli 17 anni. Questo è un altro tassello significativo per la vita della vocalist, l’ultimo. Troppe cose nella sua vita non si sono incastrate, non si può reggere il peso di questa esistenza che è diventata insostenibile.

La sua musica – intensa, estremamente emotiva, sfaccettata ma incompiuta – ha fatto scuola, fonte di ispirazione per tantissimi artisti e band anche distanti anni luce da lei. Per esempio Chino Moreno, cantante dei Deftones, che ha affermato di essersi ispirato alle sue atmosfere negli ultimi dischi. È nota la devozione che prova Björk nei suoi confronti, e addirittura recentemente l’attore e musicista Russell Crowe ha confessato che è stata la sua eroina. Ad essere sinceri non sappiamo se Sinéad avrebbe potuto raccontare ancora qualcosa con la sua musica, ma è stata fino all’ultimo giorno testimonianza di come una donna possa rimanere schiacciata da se stessa e dalle regole di un mondo brillante ma troppo pesante. Ha lasciato un segno indelebile nella musica dalla fine degli anni 80 ad oggi, non è stata compresa, è stata emarginata e dimenticata e oggi anche chi la ricorda con passione forse non riesce a nascondere del tutto una certa ipocrisia. La musica e il talento di Sinéad O’Connor non dovranno mai essere seppelliti dal tempo.

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