Il 27 agosto del 2001, ormai ventidue anni fa, usciva uno dei dischi più amati dell’eclettica Björk. Anticipato da Hidden Place e seguito da Pagan Poetry e Cocoon – singoli discussi anche per i loro video musicali sessualmente espliciti – “Vespertine” rappresenta una delle opere più significative dell’artista islandese.
“Vespertine” è stato concepito in un momento cruciale della vita della musicista. Agli esordi del nuovo millennio, infatti, Björk era reduce dalla stressante esperienza di attrice protagonista in “Dancer in the Dark” (2000), diretto da Lars Von Trier, performance che le aveva garantito la Palma d’Oro a Cannes. Oltre al lavoro davanti alle videocamere, lei aveva anche composto e interpretato delle canzoni del film, raccolte in “Selmasongs” (2000). Il successo del film, tuttavia, nascondeva un retroscena oscuro, fatto di rapporti tesi tra la star e il regista. La controversia sarebbe andata avanti per numerosi anni, raggiungendo il culmine nel 2017 quando Björk, sulla scia del movimento #MeToo, accusò di molestie il regista (senza farne il nome).
In contemporanea, Björk aveva anche iniziato una lunga e intensa relazione con l’artista statunitense Matthew Barney, dal quale la musicista islandese avrebbe poi avuto una figlia, Isadora. Per comprendere l’intensità di questo rapporto, bisogna ricordare come, anni dopo, lei avrebbe vissuto la crisi e la fine della relazione come un vero e proprio trauma, a cui verrà dedicato l’intero album “Vulnicura” (2015).
È proprio questo innamoramento ad aver ispirato l’album, permeato di una forte carica erotica. Nei singoli Hidden Place, Cocoon e Pagan Poetry, ma anche in altre meravigliose tracce come Undo, An Echo, a Stain e la conclusiva Unison, Björk descrive un amore carnale vissuto con un’incredibile intensità. La musicista racconta le luci e le ombre dell’eros, i momenti di unisono e di armonia tra amanti, ma anche le possibili dinamiche tossiche in cui uno dei due amanti sopraffà l’altro.
Persino Aurora, che racconta una disavventura d’infanzia tra i ghiacci, è attraversata da questo fil rouge:
A mountain shade/ Suggests your shape/ I tumbled down/ On my knees/ Fill the mouth/ With snow/ The way it melts/ I wish to melt into you
In Heirloom, invece, compare una forma di amore diverso da quello erotico, quello familiare, alla quale comunque l’artista riconosce altrettanta importanza.
Dal punto di vista musicale, in “Vespertine” Björk prosegue il percorso di sperimentazione iniziato col predecessore “Homogenic” (1997), iniziando un viaggio attraverso nuove frontiere musicali. Tuttavia, rispetto al predecessore, dominato da beat violenti che richiamano i movimenti tellurici e le eruzioni vulcaniche che animano l’Islanda, il nuovo album adotta sonorità più dolci e intime. L’elettronica del disco è curata, oltre che dalla stessa Björk, da numerosi musicisti e programmatori, tra i quali Guy Sigsworth, Console, Matmos, Opiate e Valgeir Sigurðsson. Sulle basi delicate, a tratti composte di suoni appena udibili, quasi ASMR, si stagliano arpe, archi, carillon e un coro femminile Inuit. Tutti questi elementi contribuiscono a evocare, attraverso la musica, immagini più eteree e intime rispetto a quelle presenti in “Homogenic”.
“Vespertine” è uno dei dischi che meglio rappresentano la produzione di un’artista che ha sempre cercato di conciliare la canzone pop con numerose sperimentazioni musicali, in una maniera – duole dirlo – molto più efficace rispetto a diversi tentativi compiuti negli anni più recenti.
Questo album, forse il lavoro più riuscito di Björk insieme al predecessore “Homogenic”, rappresenta anche uno dei dischi più iconici del periodo di transizione tra gli anni ’90 e il nuovo millennio, e anche a più di venti anni di distanza continua a meritare un ascolto.