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Altera Nexa – No Borders

2023 - New Interplanetary Melodies
funk / rock / jazz

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Tracklist

1. Skeletons
2. River
3. Give Yourself
4. Plug Me In
5. Goodbye
6. The Message That I Didn't Send
7. Nanomachines
8. Window


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Ho una fottuta paura dei formalismi. Quando penso a essi mi prende una stretta alla bocca dello stomaco e vado in agitazione. Come se tutto fosse sprecato, andato perso dietro una patina di tecnicismi. E ne soffro a livello esistenziale, perché spero venga aggiunta, alla mera estetica, quella nota particolare che innalzi il lavoro a opera d’arte, dove si manifesta l’evento puro e appunto “iconoclasta” dell’esperienza artistica, quella concatenazione inaspettata che è propria di altre logiche dimensionali.

E così gli Altera Nexa indossano un abito regale, di alto lignaggio e fattura, come fosse confezionato dalla migliore casa di moda, anzi frutto di un incantesimo che per realizzarlo ha messo in fila esperienza, artigianalità, passione e tanto esercizio di affiatamento, tale da risultare magico.

Le diversificazioni esposte all’ascolto riflettono questa tessitura caleidoscopica e sgargiante, intima e vissuta, appassionante. Pare di aver scoperto la band più cazzuta del mondo, tanti sono i rimandi rintracciati nell’album relativi ad altri artisti e disciolti nell’elisir del suono. E non solo, la pregevole statura professionale emerge praticamente ovunque e sembra di stare, e ci si sta, su quel binario figlio di una unicità, quella strada ferrata già battuta da grandi artisti e che li ha condotti sulla luna, per prender poi la tangente e viaggiare nel cosmo: Pink Floyd, Captain Beefheart, King Crimson, John Coltrane, Chick Corea, Frank Zappa, Eno, Davis…

A un certo punto si verifica, malgrado tutto, uno strano calo, caduta a piombo, pur lasciando nell’aria un’ombra di sospensione e l’attitudine, che prima era magica nell’esternare e unire parallelismi artistici, ora collassa per mancanza di respiro. Il binario con sopra il treno lanciato oltre la cappa terrestre si depotenzia e mostra qualcosa di terminale. Ecco apparire una stazione, un capolinea dove fermare tutta l’operazione di lancio effettuata. Questa è l’ordinaria Window.

Tanto valeva (e intanto piagnucolo) revisionare il buono espresso dagli Electric Flag, dai Blood, Sweat & Tears, se non dalla Paul Butterfield Blues Band nei loro tratti più veraci, e oserei dire sperimentali, piuttosto che deragliare nell’intimismo piatto a cui mancherebbe, e magari ci fosse stata, la forza derisoria di un Frank Zappa.

Antefatto

Ricavarsi una nicchia ideale di ascolto lungo la giornata può dare maggior valore all’ascolto; ma quando è il momento giusto per dedicarsi a un album musicale? Sono le 4.30 del mattino e l’aria fuori è pesante, uno strato di nebbia avvolge la collina e mi sento pronto a varcare i confini di “No Borders“, il quale fin dalle prime note scandite dal sax mi fa ritrovare qualcosa di ancestrale e che mi appartiene.

Skeletons, così si chiama la prima traccia, gioca su moduli jazz e coloriture da space jam, ricordandomi un’aria tutta newyorchese ispirata alla scena in voga nei seventies. Il miscelato è possente, aromatico e robusto, Altera Nexa non calcano la mano sulla strumentazione, piuttosto ne cavalcano le potenziali impetuosità immaginando un flusso che ha a che vedere con la classe, la maestria nel domare la plasticità e l’inventiva; cosicché, River, il secondo episodio, emoziona nella forma acustica introduttiva e si evolve nelle sinuosità funky brazil jazz, facendomi ritrovare il respiro fresco, preso io nell’umidore delle ultime oscurità della notte, e ponendomi sulla sommità del Pico da Neblina, la più alta montagna del Brasile, a sorseggiare caffè.

Il suono fusion risulta davvero site-specific per quest’ora di pre-alba, nonché di ascolto piacevole e particolareggiato dal synth, dalla chitarra elettrica, permettendosi di far presentire il lusso di poter sorvolare le strade di Rio de Janeiro quando in giro non c’è davvero ancora nessuno e godere degli ultimi bagliori elettrici cittadini, andando iincontro a un’aurora che si trasforma in tropicale mattinata (Give Yourself), probabilmente composta congiunturalmente da Sting, dai Manhattan Transfer, Pat Metheny, Pino Daniele, Bob Dylan, Paul Simon, ELP, Joni Mitchell e chi più ne ha ne metta, risultando track dal tono giocoso, altresì florilegio di alta caratura jazz rock, dolce, cangiante e divertente.

Plug Me In spiazza per il tono esuberante della voce e della verve beatlesiana condivisa con Robert Wyatt, efficace pendant emozionale di rara ispirazione, difficile nella sua apparente semplicità armonica e invece felice per verve conversevole ed eleganza della dizione strumentale, cioè, gli assi strutturali che fanno letteralmente grande questa band, pronta a mollare di botto gli ormeggi per dipingere un continuum su tela ricco di avventure disegnate e proposte in una sorta di gigantesco co(s)mic strip animato – “Quando l’appetito c’è, io mi sento come un re”, cantava Obelix. La grande cifra famelica degli Altera Nexa.

La qualità dell’album risiede nel mantenersi su tonalità non avversative, laddove vive un bilanciamento della pesatura strumentale di ogni song, entro cui l’opera riflette lo stato d’animo coscienzioso e alchemico, congetturato il tessuto sonoro di ampia spazialità e di marca jazz/art/rock, almeno di base. Un mondo di contrasti si risolvono in magia: vedi The Message That I Didn’t Send. Qui riesco a tracciare e unire quei parallelismi di cui prima e ad ascoltare una Flora Purim invischiata nella Light As a Feather quanto il tonante singer di Sing Me a Song That I Know, dei Blodwyn Pig, Mick Abrahams; eccolo l’unisono speciale degli Altera Nexa, udibile anche quando portano i Pink Floyd su base reggae jazz, strabiliando con cotanto assolo di fiato in Nanomachines, lasciando pure scoprire una concorrente song di Ty Segall. E siamo al top.

Forse la vera sorpresa dell’album poteva essere Window, che pareva fare terra bruciata tutto intorno a quel mondo ricco di sfumature, contrasti, ritmiche, raddoppi e innesti sonici sinora ascoltati, però Nero (voce, cori, piano acustico, Rhodes, organo Hammond, sintetizzatori, clap) e Dalla Gasperina (voce, cori, piano acustico, sintetizzatori, organo Hammond, clap, percussioni) non insistono nel partorire un prodotto sino in fondo originale, e così gli ultimi minuti di “No Border” si collocano in buon ordine tra quei pezzi easy, fatti per ballare alle feste degli adolescenti, tipo il Tempo delle mele, quando invece si poteva meglio chiudere l’albo graffiando, magari, alla maniera di John Lennon, memori dell’ascolto di “Double Fantasy“.

Ed è proprio qui che sopraggiunge il mio disappunto. Lascio, tuttavia, alla band una via di salvezza e ne salvo il grande divertissement che scorgo dalle loro partiture impegnative, quindi immagino loro essere Jack Nicholson e io il team di psychologists ritratti in questa scena.

Buon divertimento e, mi raccomando, in movimento e senza frontiere.

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