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Sprain – The Lamb as Effigy

2023 - The Flenser
noise / avantgarde

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Tracklist

1. Man Proposes, God Disposes
2. Reiterations
3. Privilege of Being
4. Margin for Error
5. The Commercial Nude
6. The Reclining Nude
7. We Think So Ill of You
8. God, or Whatever You Call it


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Ho avuto la fortuna, circa tre anni fa, di imbattermi casualmente nel secondo album degli Sprain, “As Lost Through Collision“. Era un disco interessante perché univa la delicatezza e le armonie dello slowcore e del post-rock atmosferico a sferragliate noise di grande impatto e violenza. Tuttavia, mi ha lasciato con l’amaro in bocca una volta finito di ascoltarlo, poiché risultava quasi troppo breve per i miei gusti.

Con “The Lamb as Effigy” la band non corre nemmeno lontanamente lo stesso rischio. Nonostante il disco sia composto solo da otto brani, ha una durata di oltre un’ora e mezza. Durante praticamente tutto il tempo, i padiglioni auricolari e la sanità mentale dell’ascoltatore saranno seriamente messi a dura prova, se non compromessi in modo irreversibile.

In questo sorprendente “The Lamb as Effigy” l’asticella viene alzata nettamente ed ulteriormente. Si tratta di un lavoro mastodontico, ostico e maturo, influenzato dalla musica classica in gran parte e in parte dal free-jazz, risultando così sperimentale ed avant-garde nella migliore accezione possibile. È innegabilmente di notevole spessore e, soprattutto, di grande personalità, perché non è affatto derivativo. È vero che il senso di inquietudine, ansia e teatralità richiama band come gli Swans o gli Oxbow, ma l’assonanza, o forse dovrei dire “dissonanza,” più vicina che mi viene in mente, se ce n’è una, è forse con i Mamaleek, loro compagni di etichetta presso l’ottima The Flenser, anch’essi altrettanto assurdi e disturbanti, anche se declinano il tutto in modo diverso.

I primi due ansiogeni brani, sebbene ottimi, e nonostante la sezione d’archi che introduce Man Proposes, God Disposes aumentando il mio stupore e la mia curiosità, sono forse i più canonici per un disco classificabile come noise. Tuttavia, si trovano già colpi di teatro qua e là, come ad esempio nel mesto finale della seconda traccia Reiterations. Ma è dal terzo brano in poi che la band con base a Los Angeles decide di mettere in tavola le sue vere e migliori carte da giocare. Da qui in poi, i momenti più pacati tendenti al post-rock, che sarebbero di base anche melodici, vengono squarciati da archi, distorsioni e chitarre taglienti come rasoi, strumenti torturati all’inverosimile o effetti che contribuiscono a creare atmosfere malate e mai banali. È il caso della spettacolare ma spoglia e claustrofobica soprattutto all’inizio Privilege of Being, dove tutto è spinto al limite, soprattutto grazie a un uso incredibile dell’orchestrazione e in particolare dei magnifici archi che costituiscono interamente la base strumentale dall’inizio alla fine. È notevole la capacità degli Sprain di unire nello stesso frangente la melodia con il rumore fino a toccare punte di harsh noise, ma soprattutto di riuscire a combinarle così bene insieme. Raramente mi è capitato di ascoltare una cosa del genere. Specialmente così ben fatta, anche perché oggettivamente è molto difficile, dato che con tutte queste stratificazioni dissonanti sarebbe molto più facile scadere nel caos senza capo né coda o nel ridicolo, cosa che qui non avviene per niente.

Anche nell’interminabile, solenne ed atmosferica Margin for Error, culmine emozionale del disco, ritroviamo questa incredibile peculiarità. Si tratta di una lunghissima suite post-rock, con un organo austero e da funzione religiosa in primo piano, che sfocia in un finale cinematico in crescendo percussivo, oscuro ed epico, con distorsioni sparate al massimo in stile Godspeed You! Black Emperor. È vero che il crescendo non è una novità, soprattutto in un certo contesto musicale, ma la proposta degli Sprain ha qualcosa di diverso ed originale. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche per la successiva e tristissima The Commercial Nude, che, tralasciando l’insano intro, quando inizia, mi ha ricordato i Black Country New Road. Tuttavia, ben presto si discosta trasformandosi in un potente e delirante mostro sonoro, per poi concludere con meravigliose e delicate note di pianoforte. Il pianoforte apre e risulta principe anche nella successiva The Reclining Nude, che suona un po’ come una “ballata” degna dei migliori Oxbow, soprattutto nella prima metà, anche grazie all’uso, forse esagerato, del falsetto del cantante Alex Kent. Tuttavia, questo non mi risulta indigesto, perché è perfettamente pertinente con le atmosfere del brano.

Vorrei infine fare due considerazioni aggiuntive. La prima è un ulteriore plauso agli Sprain per il sapiente utilizzo dei silenzi. Nonostante il disco risulti rumoroso, si trovano all’interno molti momenti di totale silenzio, dosati molto bene. Un esempio cinematografico potrebbe essere l’uso che Christopher Nolan ha fatto dei silenzi nel suo ultimo capolavoro, “Oppenheimer“. Sono silenzi assordanti.

Infine, vorrei spendere ancora due parole per elogiare la voce incredibilmente teatrale del cantante Alex Kent, un interprete sempre sul pezzo, capace di usare diversi colori e tonalità differenti, passando dalla modalità crooner allo spoken word, fino ad arrivare ad utilizzare altri registri senza problemi ogni volta che occorre, e in maniera assolutamente efficace e coerente con il contesto musicale e gli spettri sonori che lui e la sua band creano. Entrambe queste caratteristiche sono ben evidenti nella finale straziante e lunghissima, ma al tempo stesso minimale come arrangiamenti, God or Whatever You Call It.

The Lamb as Effigy” è Arte pura con la A maiuscola, oltre che un disco molto affascinante nonostante la sua complessità. Cerca di scandagliare gli angoli più reconditi ed oscuri dell’animo umano, lasciando addosso a lungo quella sensazione di malessere che un buon disco noise spesso porta con sé intrinsecamente, come se si dovesse vomitare qualcosa di malsano ed avariato dentro, ma al tempo stesso presentato in un involucro di rara e suadente bellezza. È una sorta di Dorian Gray trasfigurato in opera musicale o ad un bellissimo incubo. Complimenti alla Flenser, che ci ha regalato insieme a quella degli Agriculture due grandi ed intense uscite anche quest’anno. Per quanto mi riguarda, è uno dei migliori dischi del 2023 e forse non solo.

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