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Scrivere canzoni per trovare pace: “Friendly Fire” di Sean Lennon

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Scrivere canzoni può essere, a volte, un modo per rappacificarsi con l’esistenza, con se stessi e con le persone che ci hanno ferito nel profondo. O, per lo meno, ciò è avvenuto per Sean Lennon, che ha dedicato il suo secondo full-length “Friendly Fire”, uscito nell’ottobre 2006, alla propria fidanzata Bijou Phillips, la quale aveva avuto una relazione con l’ex migliore amico dello stesso Sean, Max LeRoy. Quest’ultimo, purtroppo, ebbe un incidente stradale con la propria moto, nel quale perse la vita prima che Lennon avesse terminato di registrare l’album, e questi sentimenti contrastanti (il tradimento e la perdita) sono, inevitabilmente, confluiti nella composizione dei brani. Rammarico, accusa, dolorosi ricordi e volontà di catarsi si insinuano tra le pieghe dei testi ed emergono a più riprese: le dieci tracce vorrebbero essere, dunque, una sorta di diario intimo in cui Sean mette a nudo la propria anima e cerca di dare senso all’accaduto per riemergere dalla propria traumatica esperienza.

Un senso di smarrimento, di riconciliazione mancata ma anche di nostalgica dolcezza pervade tutto il disco, che risuona pertanto come personale e intimista, ma si configura al tempo stesso come un progetto ambizioso, poiché esprime l’intento del musicista di affermarsi come artista multimediale. Lennon, infatti, realizzò all’epoca anche un DVD di cortometraggi, uno per ogni canzone, diretti da Michele Civetta, che costituivano la controparte visiva dei brani dell’album e raccontavano, l’uno dopo l’altro, il difficile vissuto del songwriter. Le immagini surreali e oniriche ricordano a tratti David Lynch e annoverano tra gli interpreti Lindsay Lohan, Asia Argento, Elliot Mintz, Carrie Fisher, l’amico Harper Simon (figlio di Paul) e la stessa Bijou Phillips. Nella narrazione filmica Sean è tanto persona quanto personaggio e si pone nella duplice posizione di interprete, ma anche di spettatore delle proprie stesse vicende; egli ricorre alla metafora della TV e della sala cinematografica nelle quali viene proiettata la propria storia e trasforma garbatamente se stesso e la sua vita in una “opera d’arte totale”, in cui esporsi in prima persona diviene l’argomento dell’atto artistico. In questo Lennon Jr. sembra aver appreso la lezione dei suoi genitori, che a fine anni Sessanta si offrirono senza vestiti sulla copertina di “Two Virgins” e trasformarono la propria luna di miele in una campagna mediatica in favore della pace.

Photo: Ray Tamarra

Friendly Fire” esce ben otto anni dopo l’album di debutto “Into the Sun”, che aveva ricevuto una lusinghiera accoglienza. In questo lasso di tempo Sean non è rimasto con le mani in mano: ha collaborato al progetto musicale Cibo Matto con la tastierista Yuka Honda, destinata a diventare la sua futura compagna dopo la rottura con Bijou; ha interpretato alcuni classici dei Beatles in uno speciale televisivo dedicato al padre; ha lavorato con sua madre Yoko Ono, è stato attivo come produttore e ha fatto parte, più o meno attivamente, della scena artistico-culturale newyorkese, fino al 2006, appunto, quando ha dato alla luce il secondo album. Di fatto, anche se alla base della composizione dei brani che compongono il disco ci sono esperienze personali travagliate, a livello di sonorità esso appare come un prodotto indie-pop di raffinata fattura e dalle atmosfere sognanti, in cui si colgono diversi echi beatlesiani e dell’ultima produzione solista di Lennon padre. Chitarre acustiche delicatamente pizzicate, archi, tastiere barocche e suggestive armonie vocali riportano alla mente “Sergeant Pepper” e sublimano, almeno in parte, l’urgenza emotiva che trasuda dalla maggior parte dei testi.

L’opener Dead Meat è dedicata all’ex fidanzata e a lei il cantautore si rivolge in tono accusatorio, con la frase “you’re gonna get what you deserve” ripetuta più volte; il raffinato arrangiamento mette tuttavia in evidenza pianoforte ed archi e smorza la minaccia che assume tonalità malinconiche, enfatizzate dall’accenno di valzer finale. Spectacle è intrisa di nostalgia e di rammarico nei confronti di una figura femminile e di un legame che è difficile dimenticare: anche qui fanno capolino qua e là gli archi, che riportano alla mente le orchestrazioni di George Martin, ma la chiusura del brano vira in una direzione sommessa e meditativa.  Caratterizzata da un battimani che fa molto Sixties e chitarre quasi harrisoniane, Headlights fa riferimento ad uno stile di vita da jet-set (“diamonds and cocaine”) e alla superficialità di molte relazioni intessute in quell’ambiente, ancora una volta stigmatizzando l’ex compagna. La title track, giocata solo su voce e chitarra, si rivolge invece all’amico Max LeRoy e utilizza metafore prese in prestito all’ambito militare: “You launched the assault / With the first cannonball / My soldiers were sleeping…”. La cover di Marc Bolan Would I Be the One è un autentico viaggio psichedelico e il videoclip del brano è un indubbio omaggio al lungometraggio di “Yellow Submarine”; qualche tocco di psichedelia si avverte anche nell’ultimo brano, Falling Out of Love, che rappresenta l’intento dell’artista di prendere le distanze dalla propria sofferenza per evolvere in altre direzioni, invocando riconciliazione e perdono.

Nel complesso, “Friendly Fire” è un valido lavoro, forse il più riuscito della discografia dell’artista, che in questi ultimi anni si è dedicato alla produzione e ha intrapreso progetti musicali di vario tipo senza però ritrovare l’ispirazione per un nuovo album di canzoni. Ci auguriamo che Sean Lennon, che lo scorso 9 ottobre ha compiuto 48 anni, abbia ancora desiderio di rimettersi in gioco e di realizzare altri dischi all’altezza del suo secondo, e di fatto ultimo, full-length come solista.

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