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“Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven”, la sinfonia apocalittica dei Godspeed You! Black Emperor

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Chi conosce le evoluzioni del rock negli ultimi decenni non può non aver visto, almeno una volta nella vita, le due mani bianche sulla copertina ocra di “Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven”. Uscito il 9 ottobre del 2000, il secondo album dei Godspeed You! Black Emperor rappresenta uno dei dischi cardine del post-rock, e ha avuto un impatto irreversibile sulla musica contemporanea.

“Lift Your Skinny Fists” è una lunga suite, una sinfonia apocalittica suonata con gli strumenti del rock, incisa su due dischi, divisa in quattro tracce e articolata in diciannove movimenti totali, per un totale di 87:21 minuti di musica. I GY!BE suonano un rock strumentale, malinconico e psichedelico, e dimostrano una padronanza magistrale della dinamica musicale. La struttura delle lunghe tracce che compongono l’album è molto complessa, lontana anni luce dalla canzone pop e dalle logiche dell’industria musicale, e vicinissima alla musica classica.

La band canadese è, di fatto, una piccola orchestra. Al tempo dell’incisione di “Lift Your Skinny Fists”, essa era composta da nove pezzi: al basso Thierry Amar e Mauro Pezzente, alle chitarre David Bryant, Efrim Menuck e Roger Tellier-Craig, alla batteria Bruce Cawdron e Aidan Girt, al violoncello Norsola Johnson e al violino Sophie Trudeau. Alla musica suonata dal gruppo si alternano e si sovrappongono registrazioni di varia natura: discorsi e canti in bassa qualità, melodie suonate col glockenspiel e rumori di trasmissioni radio, fischi di aerei e urla di soldati.

La suddivisione in movimenti dell’album, nella quale è segnalato visivamente anche l’andamento della dinamica musicale di ogni sezione

“Lift Your Skinny Fists” è una composizione tanto anticonvenzionale dal punto di vista musicale quanto spietata dal punto di vista politica. In questa opera, emerge infatti una visione critica e cinicamente catastrofica della moderna realtà neoliberista e delle sue contraddizioni. I GY!BE, senza proferire parola, usando semplicemente tracce audio preregistrate che veicolano dei messaggi agghiaccianti, ci mettono davanti alcune delle mille nefandezze del cosiddetto mondo occidentale.

Il primo disco affronta il tema della manipolazione attuata a scapito dei comuni mortali. In Storm, una voce femminile, prima in spagnolo e poi in inglese, mette in guardia i clienti di una stazione di servizio dai mendicanti che offrono prestazioni in cambio di denaro, incitando i meno poveri a diffidare dei poveri. In mezzo all’Apocalisse di Static, invece, una leader religiosa (la cui voce è stata alterata in modo tale da farla sembrare quella di un uomo) cerca di convincerci a seguirla nel suo percorso verso Dio. A parole, in vista della salvezza; in realtà, molto più probabilmente, con finalità tutt’altro che nobili.

Godspeed You! Black Emperor ottobre

Il secondo disco, invece, è attraversato dal fil rouge della decadenza odierna in contrasto con un’infanzia e un passato migliori. Sleep si apre con una testimonianza del vecchio Murray Ostril, il quale ricorda le spiagge di Coney Island a New York, un luogo magico che, nel corso del tempo, sarebbe crollato sotto il grigiore monotono dell’America di fine millennio. Al giorno d’oggi, conclude tristemente l’anziano, non c’è più alcuna possibilità di fidarsi delle altre persone:

I even got — when I was, uh, when I was very small, I even got lost at Coney Island, but they found me. On the, on, on the beach. And we used to sleep on the beach here, sleep overnight. They don’t do that anymore. Things changed, you see. They don’t sleep anymore on the beach…

Durante la conclusiva Like Antennas to Heaven… si sentono due nursery songs. La prima canzone, cantata e suonata dall’allora ex-chitarrista della band Mike Moya – uscito nel 1998, per poi rientrare nel 2010 – assume delle tinte oscure; mentre ad uno dei bambini franco-canadesi che cantano la seconda scappa un “c’était un idiot”. L’infanzia, suggeriscono i GY!BE, non è più immune alla malattia del contemporaneità: è stata corrotta dalla violenza e dalla sordidezza del mondo degli adulti.

“Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven” è stato composto alla fine di un secolo violento e pubblicato alla soglia di un nuovo millennio che si sarebbe rivelato niente affatto migliore – si pensi agli attentati dell’11 settembre 2001 e alla guerra in Iraq, avvenuti negli anni immediatamente successivi. L’album è sicuramente un pugno nello stomaco per chi ha ancora fiducia nella specie umana e nel suo destino.

Guardando però l’altra faccia della medaglia, non si può che rimanere meravigliati dalla bellezza sublime di questa opera unica e innovativa. Una bellezza che, come la ginestra sulla pietra lavica, si innalza sulle storture del nostro presente e sulle macerie che ci attendono.

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