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“The Machinists of Joy” dei Die Krupps, dieci anni di Robo Sapien

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Il 25 ottobre 2013 uscì l’ottavo album del gruppo tedesco industrial/EBM Die Krupps. Questo album fu importante perché usciva dopo sedici anni dall’ultimo ennesimo lavoro industrial-metal “Paradise now”, tornando ad abbracciare l’EBM con richiami punk, quel sound che aveva da sempre caratterizzato la band. Non a caso il gruppo tedesco decise di dare a questa creatura il titolo di “The Machinists of Joy” citando uno dei loro primi pezzi, Machineries of Joy, classico brano che fu Wahre Arbeit, mentre la copertina è un chiaro richiamo a “Metal Machine Music” di Lou Reed, molto caro (o così sembra, visto che  verrà utilizzato come titolo per l’album successivo) a Jürgen Hengler, fondatore dei Krupps. Insomma, un intreccio pazzesco per un’uscita altrettanto pazzesca.

Nonostante siano passati dieci anni, questo album non è invecchiato per nulla, anzi, potremmo piuttosto dire che ha anticipato le sonorità odierne. Non a caso i Die Krupps, assieme a Kraftwerk ed Einstürzende Neubauten, sono considerati i pionieri della musica industriale ed elettronica tedesca e hanno ispirato, per quanto riguarda il genere e i suoi derivati, non solo la scena della loro stessa nazione ma quella del mondo intero.

The Machinists of Joy è musica pesante ma anche ballabile, le parti di chitarra lasciano il passo ad una soffocante elettronica che dipinge scenari in cui il progresso si mischia al declino sociale, in cui le macchine si incrociano con l’essere umano. Quanto bene funzioni il congegno dei Die Krupps si può ben sentire a soprattutto in I’m Falschen Land, dove il grido della chitarra si contrappone in un soffocato stridio al dominio elettronico e la voce di Hengler gioca con interventi a tempo assieme alla parte ritmica, come se fossero un vero e proprio macchinario di una fabbrica. Questo è forse il tratto distintivo e più particolare del gruppo: suonare non come una band, ma come una fabbrica in azione, attraendo l’ascoltatore che una volta catturato non potrà decidere di terminare il proprio turno di lavoro finché le macchine non avranno smesso di muoversi; non è una tortura, ma una dipendenza. Si dipende dal lavoro e dalla fabbrica, il sudore della fronte dilania il corpo ma riempie il portafoglio, così come i Krupps stritolano il cervello ma lo riempiono di godimento.

I brani sono provocatori e sfacciati, e di conseguenza anche i video. Immancabile è la citazione nazista che fa scaldare il pubblico gridando allo scandalo, per i più audaci ridendoci su, e questo avviene con la bonus-track Nazis auf Speed, presente nel digipack in edizione limitata che vede anche l’uscita di questo video.

E cosa vogliamo dire di Robo Sapien? A parte la situazione visiva abbastanza angosciante, riporta un testo piuttosto spiazzante del quale vi cito il ritornello perché alla fine, dopo dieci anni dall’uscita di The Machinists of Joy, non si può che confermare che:

We are the human race
turning into robo sapien
Come feel my cold embrace
I am the robo sapien

We are the human race
turning into robo sapien
Come feel my cold embrace
We are all robo sapien

Altri brani che hanno richiamato fin da subito la mia attenzione sono Schmutzfabrik (trad. fabbrica di sporcizia) dedicata alla fatica dei molti per il guadagno dell’Uno, dove testo e musica martellano e schiacciano creando un clima oppressivo e disgustoso per la descrizione di chi abusa di situazioni tragiche (come può essere intuibile una guerra) e persone disperate solo per riempirsi le tasche; poi Eiskalter Engel, dal suono minimale e freddo proprio come l’angelo d’acciaio citato nel testo che spezza il ritmo dell’album con eleganza: è una canzone d’amore non convenzionale, del quale è stato realizzato anche un fan video.

Praticamente, The Machinists of Joy porta con sé tutto ciò che la nostra mente fatta di stereotipi verso la Germania può aver incorporato: palazzi di vetro e acciaio, angeli, robot, prostituzione, freddezza sociale, nazisti pazzi e pieni di droga fino al midollo, lavoro ossessivo, tempo scandito dal solito ritmo costante ed opprimente, una lingua cupa e brutale seppur molto calda, ma qui, per quanto ci si possa trastullare, il timbro di Jürgen Hengler farebbe scaldare anche la Piccola Fiammiferaia senza sprecare i propri cerini. Ovviamente, è tutto un gioco voluto, sappiamo bene che si tratta di cliché e che nella musica industrial, ma anche nel punk, il divertimento sotto questa forma narrativa come già accennavo prima, è indubbio. Non mancano le collaborazioni però presenti soltanto nell’edizione limitata di questo album, e hanno i nomi di Éric Débris del gruppo elettro punk Métal Urbain, Dernière Volonté, musicista industrial e cold wave, e Claus Larsen dei danesi Leather Strip.

Sono passati 10 anni dall’uscita diThe Machinists of Joy dei Die Krupps, ma questo album ad oggi si inserisce a pieno nel novero di quei lavori che possiamo definire immortali. Un lavoro che noi tutti Robo Sapien dovremmo ascoltare almeno una volta nella vita.

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