1. I Ride Alone
2. Dead to You
3. Further in Evil
4. Victimized
5. To Ruined Altars...
6. Sin in My Heart
L’ultimo album di Marthe mi ha riportato indietro a quei momenti nostalgici quando scoprii per la prima volta il doom e il black metal e ne rimasi estasiato: erano i tempi dei Cult of Luna, degli Isis (da non confondersi… beh, ci siamo intesi), dei Neurosis ma anche dei Death in June e di quando ascoltavo Seven Tears Are Flowing to the River di Nargaroth e mi piaceva: non che questi artisti fossero nati dieci anni fa (qualche album probabilmente uscì in quel periodo) ma è stato dieci anni fa che li ho scoperti.
“Further In Evil”, uscito lo scorso 20 Ottobre per la Southern Lord, etichetta discografica californiana che ha pubblicato, tra l’altro, anche qualche disco dei Sunn O))) ed ha tra i suoi gli All Pigs Must Die, interessante progetto grindcore, è un album devastante per impatto sonoro ed emotivo: sono rimasto senza parole. Antonin Artaud scriveva in “Per farla finita col giudizio di Dio” che gli artisti e i poeti si dividono banalmente in due categorie: quelli che hanno a che fare con la merda e quelli col sangue; i primi sono quelli che potremmo definire “i filistei dello spirito”, i secondi quelli veri: i veri artisti, i veri poeti, quelli che ci mettono del sangue in ciò che fanno; beh, “Further in Evil” per me è questo: un album in cui Marzia, unico membro del progetto, il che è ancora più notevole e da ammirare, ci ha messo il cuore e lo si sente da tutto: dalle chitarre, dai pads leggeri, dallo scream rauco che proviene da profondità patiche non descrivibili ma solo esprimibili attraverso questo genere di musica ed esso solo.
E l’album si apre proprio con I Ride Alone, prima traccia, la quale ci immerge subito in questa atmosfera che ho appena descritto con un leitmotiv di chitarra che ci accompagnerà anche nei brani successivi; Dead to You, forse il pezzo più straziante, e lo si evince dal titolo, è la seconda track, che dopo la tristezza della prima ci butta in faccia con violenza il duro peso della realtà; Victimized, quarto brano, ci inonda con un lead di chitarre struggente e, allo stesso tempo, la voce di Marzia si fa più pulita, più melodica, ad accompagnare forse una speranza per tempi perduti – ma che ritorneranno?
L’ultima traccia Sin In My Heart rappresenta il pezzo più dolce, il cui clima è stato preparato da Victimized e reso ancora più incisivo dall’aggressiva To Ruined Altars; l’ending album, che ci ricorda quasi, con la sua melodia di piano, un brano di Wim Mertens, unito però alla dolcezza di canto e di espressività di un. Këkht Aräkh, da vita a un sentimento di un’accettazione (“Sin in my heart“, canta la voce) malinconica e struggente. Questo, del resto, rappresenta proprio il tema dell’album: “A journey into evil” scrive infatti Marzia. E continua: “I consider it an epiphany in growing armour to make myself stronger” e dunque per diventare “cold and detached so as not to suffer anymore”.
Musica quindi come terapia, musica come una possibilità di cambiamento e di rafforzamento: questo e, naturalmente, un gran bell’album sludge/black – ma qui i generi si fanno talmente confusi e penetranti tra loro da risultare difficile catalogarlo – rappresentano “Further in Evil”.