1. Vento orientale
2. Corpus
3. Fuoco immortale
4. Onde sonore
5. Esplosioni luminose
6. Sospeso in aria
7. Sibili riflessi
8. Abisso
Non più divisi dall’immaginifica parete dello split di “TIERRA/MAREE”, Xabier Iriondo e Franz Valente trovano l’amalgama al di là di Bunuel, in ulteriore esplorazione di territori altri, forse anche alieni, da un certo punto di vista.
MENK’ d’altronde in lingua armena significa “noi” e questo noi personifica l’ideale di sperimentazione che, da ormai una vita, contraddistingue le due realtà che lo vanno a formare. MENK’ è anche un non-luogo posto a Medio ed Estremo Oriente. Ha radici profonde e nell’essere radicale trova un’identità sua, sempre altra, come d’altronde è normale nel campo dell’esperimento. In questo caso l’elettricità (utilizzata col contagocce) lascia spazio e campo all’aleatoria sensazione meditativa.
Il basso minutaggio di ogni “mantra” sembra estendersi ben oltre il proprio limite, tra bordoni percussivi, metallo, pelle, legno e corde che si amalgamano, lasciano presagire l’Oltre al di là del mondo materiale, tessendo i fili di quella che, a pieno titolo, è musica di un altro Tempo, quasi fosse sciamanica e monacale. Droni e incisi si rincorrono, lasciano ai silenzi uno spazio importante nella partitura, come (non)regola di certa musica concreta vuole, ma qui si è più nel campo del folklore di popoli antichi che utilizzavano il propagarsi del suono per raggiungere stati altri della percezione. Questo suono, ripetendosi circolarmente, ipnotizza e viene introiettato nella coscienza, anche nel momento in cui si fa pressante, ruvido e asfissiante, piegando il fuzz al volere della concentrazione.
“MENK’” è anche un disco, ovviamente, e in quanto tale è un oggetto da maneggiare accuratamente. Non è musica per un oggi frenetico e questo fa tutta la differenza.