1. Headlights On
2. Basement El Dorado
3. The Bodybuilder
4. Suburban Solutions
5. Presidio
6. Dial Tone
7. Histrion
8. Prima
9. Alex
10. Little Chaos
11. Pulling Down the Moon (Before You)
Quando mi trovo a parlare del lavoro di Jack Tatum, devo sempre cercare di contenere l’entusiasmo e garantire un certo grado di oggettività alle mie considerazioni. In poco più di dieci anni di carriera, i suoi Wild Nothing hanno saputo arricchire la scena indie pop/dream pop internazionale di nuove soluzioni sonore, ed è naturale che ogni nuova uscita porti con sé delle aspettative piuttosto alte.
“Hold” (Captured Tracks, 2023) le rispetta a metà: da una parte abbiamo uno stile forte e consapevole, con il ritorno di Tatum alla produzione per la prima volta dai tempi dell’LP di debutto “Gemini”; dall’altra, una sfortunata scelta nell’ordine delle tracce, che compromette una comunicazione efficace delle emozioni più complesse di cui si canta, e quindi la piena godibilità del disco. “Hold” non si concede mai l’opportunità di approfondire le dinamiche: seppur ben prodotti, ben eseguiti e con buone intenzioni, i suoi quaranta minuti di durata sembrano uno zapping disorganico tra varie stazioni radio “80 nostalgia”, dove si possono incrociare segmenti di Tears for Fears, George Michael, Peter Gabriel e Kate Bush.
Il passo è incerto, e l’album non presenta grosse sorprese. Eppure, è facile notare come Tatum abbia colto l’occasione per raggiungere un nuovo massimalismo sonoro: il mixaggio di Geoff Swan – noto per il suo lavoro con Caroline Polachek e Charli XCX – pone la voce in alto e valorizza le sfumature più eleganti e giocose degli arrangiamenti. Senza rinunciare all’atmosferico avant-pop delle sue principali influenze, qui Tatum apre nuove interessanti finestre. Del resto, “Hold” è stato scritto all’indomani della neo paternità dell’artista durante la pandemia, ed era forse inevitabile che una possibile direzione fosse quella della musica esistenziale e di ricerca.
Con il contributo del collaboratore di lunga data Jorge Elbrecht, di Tommy Davidson dei Beach Fossils e di Harriette Pilbeam degli Hatchie, il primo singolo Headlights On è caratterizzato da un groove di basso e da un breakbeat di sapore acid house. Purtroppo, fallisce nel suo ruolo di brano d’apertura, perché non coinvolge e non invoglia a proseguire nell’ascolto. Infatti, “Hold” riesce ad ingranare solo con la terza traccia, The Bodybuilder, per poi appiattirsi poco dopo con Presidio. Suburban Solutions e Dial Tone recuperano tutto ciò che c’è di buono nel sound firmato Wild Nothing, ma avrebbero potuto essere più taglienti, più incisive. L’album diventa significativamente più spaziale verso la sua conclusione, soprattutto in brani come Histrion, Prima, Alex e Little Chaos, ponendo l’accento su una spiccata sensazione di euforia. Alla fine, però, la batteria in loop e le tastiere pulsanti di Pulling Down The Moon (Before You) affossano tanto il mood quanto la speranza di riconoscere – almeno in chiusura – una qualche linea guida.
“Hold” è un disco pieno di gioia e abilità, la cui unica colpa è quella di essere stato organizzato secondo un criterio che tende a trasformare i punti di forza dei singoli brani in punti di debolezza. Sicuramente vale la pena di ascoltarlo, ma è lecito chiedersi come sarebbe stato se la tracklist fosse stata ragionata un pelino meglio.