1. Arise
2. Shadows
3. Better Days
4. Red Giant
5. Toxic Annihilator
6. Nefelibata
7. Tomorrow's Sky
Con “Helichrysum”, terza fatica degli Hippie Death Cult, la stoner-doom band di Portland sembra aver raggiunto la piena fioritura: non soltanto perché il sound si è fatto più denso e più maturo, ma anche per un cambio di formazione che ha portato la bassista Laura Phillips alla voce.
Ed è proprio la voce intensa e ammaliante di Phillips a segnare la svolta nelle sonorità della band, che se nei lavori precedenti si era fatta notare per la qualità delle composizioni (tanto da essere scritturata nel 2021 dalla Heavy Psych Sounds Records, già etichetta di Bongzilla e Mondo Generator), adesso si fa strada nella scena stoner-doom rock ed è in grado di reggere il confronto con band come i Windhand, guidati dalla voce di Dorthia Cottrell. Senza dubbio il passaggio alla voce femminile segna uno scarto dal tipo della classica band che fa “un po’ stoner, un po’ doom” e che, in fondo, non ha nulla di nuovo da dirci ma che ascoltiamo perché siamo amanti – e un tantino nostalgici – del genere, lasciandoci piacevolmente sorpresi già dal primo ascolto.
“Helichrysum” è un disco che, attraverso riff psichedelici, atmosfere stregonesche – a tratti, oserei dire, sciamaniche – e ritornelli orecchiabili (come in Better Days), ci accompagna nel percorso introspettivo affrontato dagli Hippie Death Cult in questi due anni di intensi cambiamenti, che li hanno portati a un totale capovolgimento della loro visione del mondo e a mettere in questione il rapporto con l’esistenza stessa, alla ricerca di quel “significato più profondo” con cui si apre la prima traccia del disco, Arise. È a questo che allude infatti l’elicriso, il fiore scelto come simbolo di questa evoluzione interiore, nelle parole della band stessa: la pianta di elicriso simboleggia “resistenza, immortalità, guarigione e il potere di superare le avversità”. L’introspezione e la volontà di comunicare effettivamente qualcosa all’ascoltatore si fa notare anche nella scrittura dei testi, che deviano dalle tematiche trite e ritrite tipiche del genere stoner-doom che avevano caratterizzato i primi due dischi (riferimenti satanici random, messinscene di rituali che ormai conosciamo fin troppo bene, immagini notturne e, ovviamente, un po’ di sano nichilismo) per spostarsi su un piano più riflessivo.
A tratti malinconico e nostalgico, senza farsi mancare momenti graffianti e aggressivi (come in Toxic Annihilator, in cui Laura Phillips si mostra in tutta la sua abilità canora) e barlumi di spensieratezza che ci trasportano nella psichedelia più sfrenata degli anni Settanta, con qualche rimando a band leggendarie come Led Zeppelin e Black Sabbath, “Helichrysum” non sarà forse una pietra miliare, ma sicuramente è la migliore produzione della band di Portland, che sembra pronta a fare la differenza.