“Dreamer” di Nabihah Iqbal è uno di quei dischi che metti su una sera d’estate e che ti fa innamorare, perdutamente. Di una persona, di un luogo, di un ricordo, poco importa. Ha tutto quello che serve per entrare nell’animo di ognuno di noi e farci sognare, basta aprirgli e farà tutto lui.
Con il suo secondo album in studio, pubblicato in aprile su Ninja Tune, l’artista londinese ha realizzato uno dei lavori più interessanti di quest’anno, tra elettronica e cantautorato, con un approccio al tempo stesso intimo e determinato. L’abbiamo incontrata.
Ciao Nabihah! Prima di tutto, confesso che il tuo album continua a suonare nella mia testa dal giorno in cui ho ricevuto la promo. Penso davvero che sia un’opera d’arte e musica meravigliosa, una colonna sonora stimolante e suggestiva per le nostre vite e per i nostri cuori. Prima domanda: Come stai? La tua vita è cambiata da quando è uscito “Dreamer”?
Sto bene, sono molto impegnata al momento e mi sento un po’ stanca ma con accezione positiva. La mia vita è decisamente cambiata da quando è uscito l’album ma c’era da aspettarselo. Suono molto e sono sempre in giro, quindi sicuramente è stancante ma sono felice e grata di questo. E’ così bello ascoltare la mia musica in giro per il mondo e sapere che le persone vengono a vedere me e la mia band dal vivo. E’ un’esperienza fantastica.
Dimmi cos’ha significato per te questo album quando hai iniziato a registrarlo e cosa significa per te adesso.
Quando ho iniziato a registrarlo è stato diverso tempo fa ormai. Il processo è stato molto difficile e pieno di ostacoli, il mio studio è stato svaligiato e due anni di lavoro sono andati completamente persi, perciò ho dovuto ricominciare tutto da capo. Nel frattempo mi sono anche rotta una mano, una caviglia, uno dei miei più cari amici è venuto a mancare, poi sono arrivati il covid e il lockdown, io sono stata molto male e depressa…insomma, sono successe molte cose negative che mi hanno fatto pensare che questo disco non sarebbe mai venuto alla luce e che io non sarei stata in grado di finirlo. Ma ora che è uscito e che esiste, cosa significa per me ora? Beh, è il progetto più emozionante che abbia mai concepito ed è la cosa più importante della mia vita. Mi sono dedicata per tutta la mia esistenza alla musica, e sono davvero devota a questo album. Ci sono dentro le mie emozioni, i miei sentimenti, le mie esperienze. Sono molto orgogliosa e così felice del riscontro che ha avuto e che continua ad avere in tutto il mondo, delle persone che mi scrivono per dirmi cosa “Dreamer” rappresenta per loro. Tutto questo vuol dire che la mia missione è compiuta. Lo sarebbe stata anche se la mia musica fosse stata d’aiuto ad una sola persona al mondo.
Se dovessi utilizzare solo 3 parole per descrivere questo album, quali sarebbero?
Tre parole…mmh, direi: emotivo, speranzoso e riflessivo.
Il processo e la lavorazione di questo disco sono stati davvero insidiosi a causa della pandemia e dei tuoi problemi personali; il tuo studio è stato svaligiato e ti sei dovuta trasferire dai tuoi nonni, molto lontano da Londra. Pensi che questo album sarebbe stato diverso se non fosse stato per tutto il caos attorno a te e nel mondo in quel preciso periodo?
Sì, credo che sarebbe stato molto diverso. Se il mio studio non fosse stato svaligiato e se avessi fatto uscire il materiale su cui stavo lavorando così com’era, l’album avrebbe avuto un’impronta differente, più lenta e più ambient, più riflessiva ma in modo diverso da com’è ora. La gente intorno a me cercava di rassicurarmi, dicendomi di non preoccuparmi perché sarebbe andata bene lo stesso, ma era davvero frustrante sentir dire certe cose. Ripensando a quei momenti adesso, però, avevano ragione. Preferisco decisamente il mio album per come suona ora e sono molto felice e fiera di questo lavoro.
“Dreamer” ha molte influenze musicali, dal dream pop allo shoegaze, dal post punk alla musica elettronica e dance. Quanto pensi sia importante cambiare e variare di album in album?
Credo che molte influenze mi giungano inconsciamente. Dipende da dove mi trovo, cosa penso, cosa provo in quel momento, le esperienze che ho passato e il messaggio che vorrei trasmettere attraverso la mia musica. Queste sono le prime cose che determinano i testi e la parte sonora. Sicuramente mi piace spaziare nei generi e cambiare, anche perché penso sia noioso ascoltare un album con all’interno brani tutti molto simili tra loro.
La prima traccia In Light mi dà sempre brividi ed emozioni che davvero non riesco a descrivere. Come ti è venuta in mente l’idea di questa spettacolare introduzione?
Ho registrato questa traccia in una residenza musicale lo scorso settembre. È stato un processo naturale e spontaneo, perché l’ho concepita pensando ad uno dei miei migliori amici che avevo perso l’anno prima. Le parole “In light, you’re in” ripetute nel brano sono dedicate a lui. Proprio l’altro giorno qualcuno che conosco mi ha scritto che stava ascoltando In Light in macchina con la figlia di 5 anni, e proprio quest’ultima ha affermato che con quella musica sembrava che qualcuno che non c’era più, stava risorgendo e tornando in vita. Quando ho ricevuto questa mail sono rimasta scioccata, perché un essere così piccolo aveva capito perfettamente il significato di questo brano. La sua struttura è molto semplice, chitarra, loop pedal, all’inizio si avverte il suono di un organo che ho comprato in Pakistan qualche anno fa e che ho registrato nel bagno dei miei nonni (ride) perché lì vicino scorre un fiume e io sono riuscita a registrarne i suoni. Così, aggiungendoci degli effetti sopra, è diventato l’incipit del brano. Volevo fortemente che questa traccia aprisse l’album perché si discosta da tutto il resto, è una sorta di pausa, come se dicesse di fermarti un attimo, di sederti e seguire la musica, ascoltandola anche ad occhi chiusi senza pensare ad altro. Anche dal vivo ci piace iniziare proprio con In Light.
Raccontaci qualcosa della registrazione di “Dreamer” che ti è rimasta particolarmente in testa. Un ricordo, una curiosità, tutto quello che vuoi.
Ti racconto qualcosa che credo sia divertente. Gran parte dell’album è stato registrato in zone di campagna, in posti che non erano necessariamente studi di registrazione ma, ad esempio, residenze per artisti e/o musicisti. Stavo riascoltando il brano This World Couldn’t See Us che era praticamente finito, ma c’era qualcosa che non andava nella voce, non mi piaceva com’era venuto fuori il pezzo. Così decisi di registrarlo di nuovo, ma ero in una stanza davvero grande e spaziosa, con un soffitto molto alto, insomma non era il posto più adatto per registrare la parte vocale, per cui ho preso un enorme telo e l’ho piazzato sopra la mia testa. Mentre lo tenevo fermo con le mani, cantavo davanti al microfono. Avevo arrangiato una sorta di cabina vocale in quel modo ed è così che ho registrato la voce per This World Couldn’t See Us. La parte divertente è che lì di fianco c’era la casa di un famoso compositore inglese, aperta al pubblico. Tutti quelli che passavano di lì in visita, si fermavano alla finestra per fissarmi incuriositi o insospettiti da quello che stessi facendo, reggendo un telo sopra la mia testa, da sola al centro della stanza. Suppongo che da fuori sia stato abbastanza divertente (ride).
So che recentemente sei stata nelle Marche e in Sicilia per suonare alcuni dj set. Stiamo tutti aspettando un mini tour qui in Italia per cantare e suonare tutti insieme le canzoni di “Dreamer”. Questo sogno si avvererà mai?
Assolutamente sì, mi piacerebbe molto! Quest’estate ho suonato in un festival in Sicilia ed è stato davvero bello. Nel mese di novembre suonerò in alcune date europee ma principalmente nord Europa, quindi sì, spero tanto di venire presto in Italia. Magari per il prossimo anno il sogno si avvererà!