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bar italia – The Twits

2023 - Matador
post punk

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Tracklist

1. my little tony
2. Real house wibes (desperate house vibes)
3. twist
4. worlds greatest emoter
5. calm down with me
6. Shoo
7. que suprise
8. Hi fiver
9. Brush w Faith
10. glory hunter
11. sounds like you had to be there
12. Jelsy
13. bibs


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Ammettiamolo: avevamo davvero l’impellente bisogno di un nuovo album dei bar italia? Io credo di no, soprattutto dopo un anno così importante e luminoso per il trio. Il cosiddetto “anno della svolta”, se dovessimo dargli un appellativo.

E così, anche i bar italia vanno ad aggiungersi alla lista di band che, sotto il segno di una clamorosa produttività, ha tirato fuori dal cilindro magico più di un album nello stesso anno. Più precisamente, il precedente e tanto acclamato “Tracey Denim” usciva a maggio di questo 2023 e, a distanza di neanche 6 mesi, ecco qui che spunta un nuovo disco anticipato da 3 singoli, usciti tutti nel giro di un mese, o poco più.

The Twits”  è stato registrato nel febbraio 2023 in appena 8 settimane in uno studio casalingo improvvisato a Maiorca, ed è stato mixato da Marta Salogni (Depeche Mode, Björk, black midi) che aveva già curato il mix del precedente album. Un disco lungo, molto lungo. Fin troppo. Come lo era stato “Tracey Denim“, soltanto che in quel contesto le 15 tracce sono dettate e pervase da un particolare entusiasmo, quello della riscoperta di questo trio parecchio misterioso di cui si sa molto poco, che ha un fascino a cui inizialmente è difficile resistere. Ora, dopo quasi 6 mesi dalla sua venuta al mondo e dopo qualche data in giro per l’Italia, potremmo anche convenire che non ne sentivamo tutta questa mancanza. A maggior ragione dopo aver ascoltato i 13 brani che compongono il loro quarto album in studio, che sembra essere una continuazione del precedente, ma con meno guizzo e meno interesse. Interesse all’ascolto, sia chiaro. Sembra come se ad un certo punto tutto quell’entusiasmo iniziale sia stato messo in stand-by. Per quanto tempo, ancora non ci è dato saperlo.

Al momento, il trio composto da Nina Cristante, Jezmi Tarik Fehmi e Sam Fenton, rappresenta una delle realtà alternative (da leggersi in italiano o in inglese, secondo il vostro gradimento) più seguite e discusse, soprattutto per quello che riguarda la dimensione live. Per mia sfortuna non ho ancora avuto modo e possibilità di vederli esibirsi dal vivo (e spero ne avrò occasione al più presto), ma una cosa è chiara: sono musicisti piuttosto schivi, che salgono sul palco e suonano, non lasciando spazio ad intermezzi di alcun tipo. Può andar bene o meno, ma questa è l’offerta e il pubblico ormai ne è consapevole. La loro freddezza si riflette più nell’ultimo “The Twits” che in “Tracey Denim“, in cui predominavano alternanze di forme e di colori. Le sue sfumature raccontavano storie contenute in più fotogrammi, ognuna diversa dall’altra. In “The Twits” prevale il binomio bianco e/o nero. Sprazzi di grigio e null’altro. Mancano le “hit”, quei pezzi forti, che spiccano, i cui riff entrano in testa e dove le voci si uniscono, si fondono e s’incastrano al meglio. Mancano la Nurse! e la punkt di “Tracey Denim“, singoli accattivanti e convincenti.

Ora, il paragone con il precedente lavoro vien da sé, è un processo spontaneo, vuoi per la breve distanza tra un disco e l’altro, vuoi perché i bar italia non hanno mica cambiato stile. Sono rimasti lì, non hanno aggiunto nulla e anzi, sembrano aver lavorato in sottrazione in diversi punti, nonostante la loro già minimale espressione artistica. So già che per molti questo è il loro punto di forza. Io dico che dopo quattro album no, non lo è più. Ci serve qualcos’altro. Qualcosa di più. E quel qualcosa in più si trova, guarda un po’, proprio nei progetti paralleli del trio. Nina Cristante è a capo della proposta solista a tinte dreamy NINA, mentre Fenton e Fehmi prendono identità anche sotto il nome Double Virgo, un interessantissimo progetto che viaggia su fronti shoegaze, grunge, alternative rock, chillwave, e che in maniera sapiente e non così banale riesce a catturare l’udito e stimolare i sensi.

Ma parlavamo di “The Twits”, giusto. Il singolo my little tony apre l’album ed è un brano con la giusta carica ma che non riesce davvero ad esplodere. Tre voci che si aggirano attorno al solito schema ormai consolidato, quello a cui siamo abituati dal trio. Segue un brano il cui titolo è tutto un programma (letteralmente), che rimanda alle casalinghe disperate più famose al mondo. Un riff che gira ossessivamente per tutti i 3 minuti e mezzo, e già qui qualcosa inizia a non tornarmi. Mi guardo intorno in cerca di risposte. Ecco che arriva twist, gioco di parole con il titolo del disco. “Una pseudo ballad”, penso. Wow! Strumentalmente ci siamo, non mi dispiace. Al solito c’è il principio lo-fi dei bar italia, quello che da un lato affascina. Somigliano, a tratti, alla reincarnazione di una band alternative rock di fine anni ‘90/primi 2000 e questo può essere un’arma a doppio taglio. Si corre il rischio del noto effetto nostalgia, quello che ti ricorda qualcosa di già sentito e che ti riporta alla mente ad un passato indefinito. Ha senso? Sì, può averlo. Può averlo a volte. Può averlo anche più di a volte, ma non può e non deve essere sempre tra le scatole. Con 15 brani usciti a maggio e altri 13 usciti ora, il rischio sale vertiginosamente. In effetti è inizialmente una ballad rock, che poi si trasforma in un pezzo quasi folkeggiante. Ecco, qui ci siamo. Sullo sviluppo, ci siamo. Mi rendo subito conto di cos’è che non va, però. Le voci dei due chitarristi ci stanno piuttosto bene, soprattutto quella di Fehmi che conferisce al finale un’atmosfera decisamente più oscura, da tavola calda e luci soffuse al centro di Praga con tanta, tanta neve fuori. Purtroppo è la voce di Nina che non mi va giù. Non riesco a trovare nulla che me la faccia piacere. Se in “Tracey Denim” percepivo molto meno questa cosa, qui è più lampante, più evidente.

Ritrovo la stessa identica formula poco più in là, nel brano Shoo, ma stavolta c’è solo la sua voce. E infatti, trovo difficile arrivare in fondo al brano. Non ci riesco, per la verità. Si succedono altri momenti poco memorabili. Si giunge ad uno dei pochi attimi che incuriosiscono l’ascolto, quello di glory hunter, una traccia in linea con la parte più brillante di Tracey Denim. Dopo altri minuti trascurabili, arriva il singolo Jelsy che fa cambiare un po’ l’aria all’album, pur rimanendo su una ballad che non ha nulla di particolarmente originale. Il finale è affidato a bibs, che provoca una piccola scossa, un po’ com’è stato fatto più o meno a metà disco. Emerge il gusto e la bellezza di osare, di chiudere con qualcosa che provi ad essere ricordato. Distorsioni, ritmi più netti, più vivi. Anche le voci dei tre membri della band sembrano emanare un calore diverso, che quasi tardava ad arrivare. Peccato però che siamo ormai in chiusura, e non c’è tempo per recuperare.

Se questo album fosse uscito al posto del precedente “Tracey Denim“, non avrei avuto troppi indugi: mi avrebbe colpito per metà, lasciando l’altro 50% con un bel punto interrogativo, curiosa di seguire le successive mosse della band per capire che idea avere. Ma visto che non è questo il caso, i bar italia mi lasciano un bel po’ di amaro in bocca. Il tempo. Solo il tempo sarà il rivelatore più fidato. 

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