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Paint It Black – Famine

2023 - Revelation Records
hardcore punk

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Tracklist

1. Famine
2. Dominion
3. Safe
4. Exploitation Period
5. Serf City, U.S.A.
6. The Unreasonable Silence
7. Namesake
8. City of the Dead


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Afraid of conflicts, but always at war.

Eravamo rimasti a questo punto, ma sono tornati. A dieci anni esatti di distanza dal loro ultimo EP, intitolato “Invisible”, riecco i colossi di Philadelphia rientrare in studio e registrare un disco nuovo, nemmeno a farlo apposta. Un intero disco nuovo. “Famine” esce per la leggendaria Revelation, che non ha esitato ad “accaparrarsi” il disco punk americano forse più importante dell’anno, e lo fa in un contesto in cui, l’abbiamo capito, non esistono più sfumature. O dentro o fuori. Il nuovo album dei Paint It Black urla, sbraita, intontisce, raggruppa. Come ai vecchi tempi. Al diavolo le tecniche, i social, i gap generazionali.

Si inizia con la title track. Lenta all’inizio, ragionata sul finire, lascia intuire cosa ci attenda durante le otto tracce che compongono il disco. Colpisce, la prima canzone, perché inizia con una rima, come se fosse una filastrocca: “This is the America of fable, the land of Cain & Abel, where you’re stuck with the check, but still no seat at the table.” Musicale, affabile, canzonatoria, non riesco a smettere di canticchiarla. La seguente Dominion è puro stile Paint It Black, violenta ed esasperata, in ripresa dopo un brusco stop con il più classico dei mosh, di puro stampo East Coast, nei suoi tratti finali. Abbiamo reminiscenze degli esordi della band anche in Safe, e non potrebbe essere altrimenti. “Famine” differisce dalle sonorità più spiccate di “CVA”, devo ammettere, solo per gli argomenti trattati, legati maggiormente alla denuncia sociale che all’introspezione: sotto quest’aspetto, potrebbe essere definito il loro lavoro più estremo. Botta e risposta e poi ancora, botta, risposta e moshettino finale in Serf City, U.S.A., nel loro classico modo di comportarsi quando si tratta di dire chiaramente le cose come stanno; riflessioni e divagazioni storico- religiose nella lunga Namesake, per finire con City of the Dead e le sue urla contro gentrificazione e sfruttamento urbano.  

Non sono da soli, in questi otto proiettili. La scena in questi dieci anni si è riunita e si è aperta al dialogo, tra vecchie conoscenze e nuove leve. Abbiamo Dan dei Cold World in The Unreasonable Silence e Brian Stern dei Look Back And Laugh a completare le parti di chitarra laddove serviva più piglio: “Famine” è un lavoro completo, che dimostra di essere fortemente al passo coi tempi nonostante i Paint It Black siano attivi da vent’anni. 

I quattro di Philadelphia hanno sempre saputo cosa raccontare, perché sono sempre stati degli attenti osservatori. Il loro occhio critico, nonostante un lessico abbastanza formale, è quello di chi sa da sempre da che parte stare e di chi è ancora capace di dialogare senza diventare, tutto ad un tratto, antistorico. Quando si sono accorti di non aver nulla di cui parlare, si sono fermati a riprendere fiato. Per fortuna, però, alla fine sono tornati. “And no matter where my people make their beds, we’re still broadcasting live from the City of the Dead.”

This is hardcore.

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