1. Torn in Two
2. Death’s Forgotten Children
3. Necromanteum
4. Crowned in Everblack
5. The Pathless Forst
6. How the Knife Get Twisted
7. Architect of Misanthropy
8. Infinite Night Terror
9. Bleed More
10. Heaven and Hell All at Once
In questo caldo Ottobre, proprio agli inizi, Venerdì 6, è uscito per la famigerata Nuclear Blast, l’ultimo prodotto dei Carnifex dal titolo complesso quanto immaginifico di “Necromanteum”: una roba che ci proietta direttamente in una campagna di Dungeons&Dragons o in una qualche ambientazione warcraftiana, popolata di stregoni, magia oscura e creature degli abissi; e in effetti l’album riesce a darci proprio questa sensazione, già a partire dalla cover dell’album, che ritrae un cancello spettrale in un’area che con molta probabilità rappresenta un cimitero:
Dopo un inizio un po’ blando e monotono con Torn in Two, al punto che volevo skippare completamente l’ascolto e giungere a conclusioni affrettate, l’album esplode con Death’s Forgotten Children – e menomale aggiungerei, un brano che giudicherei a mani basse un capolavoro che mi ha ricordato molto l’atmosfera di “Death Cult Armageddon” dei Dimmu Borgir: niente di stupefacente, nel senso che eravamo già abituati a questo stile da parte dei Carnifex, tuttavia si nota che l’impostazione prevalentemente deathcore, o melodic deathcore di base, anche per l’immaginario, è ormai completamente saldata a quella symphonic black metal. La title track, in questo senso, ne è una dimostrazione: un’apertura degna di fare da sottofondo alla battaglia del fosso di Helm, uno scream che divora il growl, con dei momenti in cui fanno a unisono – niente male! – e gli archi che ci accompagnano lungo tutto il brano, proiettandoci in scenari oscuri e magici. La voce di Scott Ian Lewis è qualcosa di mastodontico, un monumento sottovalutato della musica estrema.
Molto alto il livello tecnico: gli assoli di Neal Tiemann, nella band dal 2021, un veterano dell’heavy metal e del rock, come dimostrano le sue esperienze passate nei DevilDriver, dove era però ritmico – aggiungono quel tocco di virtuosismo che colloca l’album su un livello davvero notevole, non la solita roba insertname–core fatta di breakdown, blast beat e voce growl ma qualcosa di più, qualcosa di non sganciato dal passato heavy da cui noi tutti, chi più chi meno in questo genere, proveniamo: non se ne può fare a meno, per quanto contemporanei e sperimentali si voglia essere, poiché se si fa musica estrema il dazio alla storia del metal, fatta di assoli e virtuosismi, va in un certo senso pagato e i Carnifex lo fanno. E lo fanno bene, aggiungerei. La mia nota di merito va proprio a Necromanteum, che mi ha fatto ritornare a quando, a 16 anni, scoprii per la prima volta il symphonic: una sensazione di epicità frammista a desiderio di elevazione che ci riporta a tempi andati, dove la guerra e ciò che la riguardava erano intrisi di ideali e, in un certo qual modo, valori guerrieri e dove non c’era l’intermediario della tecnologia contemporanea.
The Pathless Forest, che sembra quasi tratto da un racconto fantasy o da uno scenario di The Elder Scrolls, è probabilmente il pezzo più sperimentale, dove il connubio tra virtuosismi heavy metal e la violenza e oscurità quasi black si uniscono per dare vita a un pezzo unico molto ben riuscito; in generale uno dei miei preferiti insieme a Necromanteum – se non lo si fosse capito lo ripetiamo – e alla closing track, Heaven and Hell All At Once, che si apre con un lead guitar accompagnato dalla ritmica dello storico Cory Arford e dalla batteria di Shawn Cameron, altro membro storico, che da quasi i brividi tanto riesce a impressionarci: una chicca!
Insomma, quarantadue minuti e qualche secondo che avrei voluto, francamente, continuassero. Un album bellissimo; se fossimo ancora dietro ai banchi di scuola, un dieci e lode non gliel’avrebbe tolto nessuno.