1. Anime perse
2. Per non pensarci più
3. Titoli di coda (feat. Willie Peyote)
4. Alice (feat. Giovanni Truppi)
5. Intervallo
6. La musica è finita
7. Scusa (feat. Jeremiah Fraites)
8. Maledetta voglia di felicità (feat. Ginevra)
9. Se non avessi avuto te
10. Quello che ancora non c’è
11. Per Sempre (Bonus Track)
A due anni di distanza da “Semplice”, Francesco Motta torna col suo quarto album: “La musica è finita”. E già il titolo ci lascia presagire venti di cambiamento. La musica finisce, si trasforma e si evolve in un sound completamente nuovo, ma la penna del cantautore toscano resta immediatamente riconoscibile, portando con sé tracce e schegge di storia passata. Lo stesso artwork della cover dell’album, a cura di Pepsy Romanoff, cristallizza un paesaggio in macerie, da cui ripartire e ricominciare. Eppure in questa fine non c’è malinconia, ma solo il febbricitante inizio di un nuovo viaggio, la cui destinazione resta sempre e solo una: la musica.
Sin da subito si notano molteplici collaborazioni all’interno del disco, una vera novità per Motta se si escludono i feat con sua sorella Alice, il lavoro con Dario Brunori, e pochi altri casi. Willie Peyote, Giovanni Truppi, Jeremiah Fraites e Ginevra: questi inediti connubi consentono all’artista l’esplorazione di nuove sonorità e nuovi paesaggi compositivi, incastrati in un nuovo universo rock, pop e cantautorale. Risultato? Ogni brano è musicalmente diverso dl precedente, inserito in un’unica cornice con una propria immagine precisa: fotogrammi di un unico film.
Diretto e graffiante. Intimo e introspettivo. A tratti brusco e senza mezze misure. Ne “La musica è finita” Francesco Motta ci invita a ballare insieme a lui su un nuovo fuoco creativo. Un ballo su un fuoco che brucia, per esorcizzare il passato, mettere un punto e ripartire daccapo. Un ballo alla Joker del film di Todd Phillips, in cui Joaquin Phoenix (aka Joker) scendendo dalle scale inizia a ballare sui gradini. E in quel momento non è più un uomo folle, ma un uomo libero. E la nuova libertà di Francesco si srotola in undici tracce (di cui una bonus track).
Il disco si apre con la struggente ballata Anime perse e ci impone subito il sound dell’intero progetto. Un amore tra anime perse ed emarginate che si cercano. Si cammina tra ombre estranee, fotografando lampi autobiografici: “Camminavano insieme / Senza parlare / Due anime perse nella stessa paura / Di riuscire ad amare come fosse amore / Si sdraiarono a terra / Come dentro a un temporale / In un nuovo destino / Con la stessa paura / Di riuscire ad amare”. Si prosegue con Per non pensarci più. Il brano è un vero e proprio ritorno alle sonorità della sua vecchia band, i Criminal Jokers.
La collaborazione che non ti aspetti, date le differenti sonorità e i differenti punti di vista è quella con Willie Peyote in Titoli di coda. Il brano si interroga con ironia sul destino dei personaggi secondari che compaiono nei titoli di coda: “Da qui non ce ne andiamo / Siamo rimasti soli / Si accendono le luci / Sui titoli di coda / E fuori c’è la fila / Di nuovi spettatori / Ci resta giusto il tempo / Dei titoli di coda”. Seconda collaborazione è Alice con Giovanni Truppi. Senza dubbio una delle canzoni più belle e importanti del disco, a tratti è possibile scorgerci Andrea di De André. Alice è la sorella di Francesco e il prezioso contributo di Truppi arricchisce la narrazione dell’amore fraterno, dell’irrequietezza, dei nervi tesi e della nostalgia: “E a pensarci bene, per tutta la mia vita, / non ho mai cercato nient’altro che di ritrovare la sensazione di quando, da bambini, ti venivo vicino / e sentivo che tutto quello che mi interessava e che era importante era lì, / nel raggio di un metro da te e dal tuo sguardo. / Se penso alla mia delicatezza, ai miei nervi tesi, alle mie corse assurde, mi appare chiaro che tutto è disceso da questa mancanza / Dalla nostalgia, per una porzione di stanza, nella penombra di mille pomeriggi / Che era un mondo con al centro te / E la certezza che ogni cosa, finché fossi rimasto in quel posto, / sarebbe stata esatta, giusta e buona”.
Dopo un Intervallo strumentale, la title track si impone prepotente, iniziando una sorta di “secondo tempo” del disco. Gli echi del brano ricordano Black Skinhead di Kanye West, il testo analizza la passione e il distacco tra Motta e la musica: “Niente, nemmeno una parola / L’accenno di un saluto / Ti dico arrivederci, amore mio / Nascondendo la malinconia / Sotto l’ombra di un sorriso”. Le successive Scusa con Jeremiah Fraites dei The Lumineers e Maledetta voglia di felicità con Ginevra, sono un punto focale dell’intero disco. Nella prima traccia Francesco combatte disperato con un assurdo bisogno di normalità in un mondo che fa paura da cui si vorrebbe fuggire: “Andiamocene a cena sulla luna / E dove la mia musica non c’è / Ormai ci siamo detti quasi tutto / E sorridiamo senza chiederci perché”. Nella seconda traccia il tono caldo e graffiante di Motta si fonde alla voce delicata di Ginevra: “Gli occhi un po’ lucidi gridano: “Buona fortuna” / Ho sbagliato tante volte, tante voltе vorrei chiederti scusa / Ma quella maledetta voglia di felicità / Ci lascia un ricordo, chissà se poi ci servirà/ Per non perdersi mai più”.
L’album si chiude con un trittico intimo e commovente, ricco di interrogativi e uso del condizionale, amici per eccellenza amica dell’introspezione. “E ci è rimasta una speranza / Fra una stella e una chitarra / Dentro un cuore che è nascosto / Da una ferita che non parla / Prigioniero di un errore / Per una colpa che non c’è / E questa voglia di volare / Chissà cos’è” – canta Motta in Se non avessi avuto te. Ritorna il valzer del passato e del futuro, della fine e dell’inizio, tornano le riflessioni e quel mood un po’ punk che da sempre contraddistingue la sua firma. La speranza rimasta incastrata tra una stella e una chitarra continua a suonare Quello Che Ancora Non C’è: “Avevi tante cose per la testa / E per la testa avevi ancora un sogno da scoprire / E se è stato un sogno disperato / Disperato è anche il bisogno di star bene” – graffia la voce di Francesco – “Hai cercato di perderti in quello che ancora non c’è” – per tacersi su un lungo finale strumentale che sembra cullare ogni pensiero. Ogni emozione. Questo film introspettivo si conclude con la bonus track Per sempre, traccia che riesce a contenerne la perfetta sintesi: “E non riesco ad andare via, neanche a restare qua / Io voglio essere libero e non so cos’è la libertà / Dimmi come riesci ad essere quella che sei / Io non riesco ad essere quello che non sono più”.
“La musica è finita” è un disco che arriva urlando. Diretto. Sfacciato. Potente. Francesco Motta riparte dalla fine per incedere verso un nuovo inizio, che ha come destinazione sempre e solo la musica, quella che fa rumore e salva. Anche da sé stessi.