“War” era il disco del superamento dell’idealismo adolescenziale in favore di suoni e parole capaci di assorbire gli umori del tempo. Gli U2 erano diventati grandi, e lo sarebbero stati ancora di più in seguito.
“The Smiths” non fu l’album migliore di Morrissey e soci, ma per un paio di generazioni fu più di un disco. Molto, molto di più.
“Morrison Hotel” era un road trip che finiva dalle parti di Laurel Canyon, in una locanda dove servivano la birra migliore della città e un vecchio jukebox mandava il blues di un angelo bello e dannato che aveva sfidato gli dèi.
I Fleetwood Mac di “Rumours” furono gli attori di un fotoromanzo rosa nel quale recitavano se stessi, e con le loro vicende di passione e tradimento, finirono con lo scrivere l’album pop-rock perfetto anche per quelli che abitualmente non ascoltavano pop-rock
Sembravano dei montanari arrivati in città in gita premio, e addosso a loro le camice di flanella erano più una divisa da spaccalegna che da aspiranti rockstar, ma quando imbracciavano gli strumenti facevano mangiare la polvere a mezza Seattle.
Per quanto dimesse e spoglie, le canzoni di “I See A Darkness” non rinunciavano mai ad un minimo di misteriosa eleganza, e sebbene Oldham si concentrasse particolarmente sulla sua personale forma oscura di poesia, la musica raramente andava in bianco.