Non me ne resi conto ma “Solo un grande sasso” è generazionale, come i grandi album generazionali, quelli che attecchiscono alla pelle delle persone mentre crescono. La mia generazione ha questo, un tesoro emerso dai flutti di un Paese irreale. Un dipinto che non stinge ma che, anzi, prende i colori del tempo trascorso inesorabile, implacabile. Ma è ancora qui e riluce ancora di quella bellezza che non sfiorirà mai.
Futuri distopici in cui un governo di pochi danneggia i più, ribellioni messe a tacere nel sangue, fughe, amori più o meno felici, disillusione, disastri ambientali, guerre. La colonna sonora perfetta per una lettura come può essere “1984” di Orwell
“In A Bar, Under The Sea” è un piccolo gioiellino che ha solo bisogno di un po’ d’attenzione per regalare sensazioni e riflessioni che spaziano in tanti ambiti della vita umana, ma che poi ci portano sempre allo stesso punto: la vita a tratti fa schifo, ma va bene così.
Posso dirlo: il quattordicesimo disco di Bowie è una roba pazzesca che se non stai attento e ci finisci dentro una sera, ci rimani intrappolato finché non ti cascano i denti. Non è “soltanto” il più grande disco di Bowie. È il più grande disco di qualcosa ancora più grande di Bowie, se possibile
I System Of A Down hanno l’enorme merito di aver avvicinato un sacco di ragazzi alla musica heavy, aprendo la strada alla scoperta di un mondo di artisti e realtà incredibili.
“Fire Of Love” era ambientato nelle zone più squallide dell’iconografia americana e invocava lo spirito dei vecchi bluesman per farli danzare attorno a un fuoco che era insieme distruzione e purificazione.
“Danzig” è un disco che spiega e condensa una carriera intera e di riflesso una lente che ci permette di leggere come fossero le cose trent’anni fa nel mondo del rock…
“Rock In A Hard Place” è quindi il disco della crisi degli Aerosmith? Un tentativo di rinascita? La scappatella di una rock’n’roll band? Un po’ tutto questo.
Questo che oggi compie 35 anni non è un album di cover. Sono gli ennesimi calci in culo che Nick Cave and The Bad Seeds assestano a chi trova ancora qualcosa in cui sperare.
“Beautiful Freak” non è un nefasto campionario di disadattati rassegnati al proprio destino, ma – al contrario – un vero e proprio inno in dodici brani sulla ricerca degli aspetti positivi dell’essere freak.
I Mudhoney sono consapevoli di aver scritto la storia recente del movimento di cui fanno parte, ragion per cui iniziano a giocare contro se stessi, le loro passioni e inclinazioni artistiche
“Tidal” strappava le confessioni di una giovane donna per darle in pasto ad un pubblico all’epoca particolarmente bramoso di segreti, bugie e cantautrici con l’anima spezzata
Era Lanegan che entrava in una nuova fase, quella in cui si allontanano le strade dello stato di Washington e si aprono quelle del cantautore sempre maledetto ma avvolto da un’aura di maledizione legittima che abbraccia il riconoscimento internazionale, la carriera da solista professionista prendeva forma e quella voce inconfondibile era alla sua consacrazione definitiva.
I primi lavori dei Black Sabbath compiono mezzo secolo, ma quelle note, quei riff, quei testi, sono ancora un must assoluto di chi apprezza il metal, anzi la musica in generale.
Se vi siete ma chiesti come sia il suono della sofferenza, del dolore, dell’ignoto, dell’Apocalisse, probabilmente senza indugiare troppo, “Closer” rientra in una di queste categorie, se non tutte
Malgrado il titolo non è che il disco fosse proprio una pacchia. Piuttosto, trasuda cattiveria, angoscia, lussuria e perdizione. L’urgenza di un “qui e ora” nietzschiano e disperatamente dionisiaco.
Jack White infilava le proprie visioni nella storia del rock’n’roll per uscirne con disco che aveva persino una fisionomia di modernità .”White Blood Cells” arrivava dritto in faccia, concedeva la parola al passato e dava garanzie sul futuro.
“Farm” era un ritorno al passato, come al solito pieno di raptus elettrici, corde rotte, dita sanguinanti e ritornelli bulimici di struggenti melodie. I Dinosaur Jr. erano ancora la band che aveva stregato Henry Rollins e David Bowie. Tra i tanti.
‘Surrender’ è un concentrato di tutto il percorso fatto dai due fino a quel momento: l’intenzione è però quella di fare un disco maggiormente imperniato sulla sperimentazione, con particolare attenzione al genere house.
Penso che in pochi all’epoca se ne fossero accorti, anzi nessuno. “Sulla linea d’orizzonte tra questa mia vita e quella di tutti” non poteva essere il disco della rinascita, quanto piuttosto un colpo di coda, meraviglioso, deflagrante, coinvolgente, ma pur sempre un colpo di coda. D’altronde, come si poteva fare meglio di così?