La vita è la vera Regina e la morte è il fulcro di “The Queen Is Dead”, una morte che non si può accettare, come esordiva Blanchot, non ci si abitua alla morte per cui come può far parte di noi?
“Red Medicine” fu un maturo e pregevole lavoro di rottura e cambiamento nella carriera dei Fugazi che non ha fatto altro che accrescere il mito e la fama di una delle band più significative degli anni 90.
Grezzo, maestoso e spudorato, questo disco contiene tutti i preludi di ciò che la band sarebbe stata capace di dare alla luce in seguito. Una vera pietra miliare per l’evoluzione della musica metal.
“Sing To God” è un’enciclopedia di tutto ciò che i Cardiacs sono e potrebbero essere; una mappa che conduce contemporaneamente in tutti i luoghi e in nessuno
“K-album” rappresenta la presa di coscienza definitiva della vera fisionomia artistica della band napoletana, quattro ragazzi appartenenti alle posse ma non militanti, almeno non fino in fondo.
II gruppo cercò di far convivere l’anima sperimentale di nuove canzoni, l’obiettivo di ritagliarsi un proprio spazio musicale, le loro origini grunge/hard rock e il bisogno commerciale di nuove hit con le quali scalare le classifiche mondiali. Facile? Per niente, ma il disco riuscì a vendere milioni di copie in tutto il mondo
“Tigermilk” aveva canzoni affacciate sul bordo dell’adolescenza, a volte sussurava innocenza, altre confessava segreti e bugie e spesso ricorreva alle tinte pastello per raccontare il grigio della solitudine
“Load” inconsciamente cerca di far capire che è importante mettersi in gioco e scommettere su se stessi… fatelo anche voi.
“The Firstborn Is Dead” è una celebrazione della musica americana, fatta a Berlino ovest, da due australiani e due europei, punk e tossicodipendenti. Fossero finiti qui, Nick Cave and the Bad Seeds avrebbero comunque il non secondario merito di aver riconnesso il blues al punk, con un disco che ci spiega che i primi veri punk erano i bluesmen
Tempi diversi, lacerazioni che tornavano: “Uh Huh Her” era un album sulle conseguenze dell’amore e sui suoi risvolti più torbidi e crudeli.
C’è speranza nella voce di Chris Cornell, una speranza che, come sempre, commuove. Che lo si ascolti distrattamente, mentre si fanno altre cose, o concentrati e a luci basse, quella voce entra dentro. E, per una volta, non ti torce le budella, ma ti fa sentire libero. Come in un esilio conclusosi bene.
Minimalismo, world music, tecnologia e passione per i diritti, sono alcuni degli attrezzi usati da Peter Gabriel per costruire “(Melt)” e contribuire a cambiare per sempre la musica e il mondo (o almeno il Sudafrica), mentre trovava la sua identità musicale.
“Brothers” è una cosa che se l’ascolti con un minimo di attenzione ti lascia una traccia profonda; una esperienza emotiva come solo il Blues può dare.
Un disco imprescindibile che ancora oggi non è considerato banale, anzi, ancora attuale e fondamentale in tutte le sue sfaccettature.
A modo suo “Freedom Of Choice” è memorabile e inconsapevolmente geniale
Un disco che a metà del suo ascolto è già storia della musica
“Tilt” alla fine una cosa me l’ha insegnata: che non è importante che tipo di musica ascolti, l’importante è che arrivi da un’altra dimensione.
Tutto sommato “Let It Be” è condannato a essere il tipico ultimo disco di una band in declino, di cui si può fare a meno. Che si può “lasciar stare”. Nudo o vestito.
“Out of Step” prende la forma di un rumoroso e aggressivo lampo che ci attraversa a velocità inaudita. Breve e intenso come un pugno nello stomaco, ha la grazia di farci sentire vivi rendendo reale la gelida possibilità che la nostra vita sia in bilico, ogni giorno, e che basterebbe un piccolo inciampo perché tutto evapori in una nuvola rossa.
“…I Care” si porta appresso tutto il peso della musica concreta, della sperimentazione che travalica la concezione elettronica per entrare in un regno di mezzo, quello in cui il club può tranquillamente essere un’installazione d’arte contemporanea, un film di Ridley Scott proiettato in un cinema senza poltrone, con il pubblico a ciondolare ipnotizzato.