Più un abbozzo che un vero e proprio quadro: forse 12 anni fa “The Slip” deluse le aspettative, ma l’ascolto di oggi gli assegna il ruolo di un bellissimo sospiro, una pausa di qualità.
Ed esplode così “Appetite for Destruction”, il disco di esordio dei Guns N’ Roses. Ed è così che le sonorità dello street metal diventano imperanti, attingendo al punk dei più reazionari Sex Pistols e al blues dei Rolling Stones.
“Berlin” è un album eccezionale, il capitolo più luminoso della carriera da solista di Lou Reed. Le sue canzoni non avranno riff memorabili o ritornelli ossessivi, ma i loro abiti erano stupendi. E “Berlin” è stato il più stupendo tra gli stupendi.
Il tema portante di “Parachutes” è la malinconia, il più importante trait d’union tra il post britpop e il nuovo filone alternative d’oltreoceano. Presi singolarmente, alcuni brani del primo lavoro dei Coldplay non sfigurerebbero in una compilation slowcore.
Il secondo album degli Hüsker Dü ci insegna che la strada più lunga, in realtà, sia quella più importante per la nostra crescita, da percorrere e che per comprendere la maggior parte delle sfaccettature della cultura musicale che ci circonda, non si debba mai smettere di studiare.
Uno dei dischi italiani più belli del suo periodo storico e della sua generazione: è la sintesi di diverse influenze, di una scrittura di grande qualità ma anche il primo manifesto di un’estetica pop autentica, perché i Baustelle, allora come oggi, hanno imparato a somigliare, comunque, solo a loro stessi.
Il disco forse più libero e anarchico degli U2 e che ha avuto un’influenza nella musica di quegli anni forse maggiore di quello che si pensa. Per molti è considerato un disco minore. Non lo è.
I Neurosis si avventurano in quello che è il compito più difficile per un gruppo che ha fatto della viscerale pesantezza e dell’impatto la propria arma vincente: spogliare a nudo il proprio suono da ogni orpello non necessario e consegnarci un disco in cui la formula del “sottrarre” ne costituisce la spina dorsale.
“The Parable Of Arable Land” è un flusso puro ed è uno dei miglior esempi di libertà d’espressione in ambito musicale, le sue sfumature hanno trasceso i confini.
“Dimension Hatröss”, rompendo qualsiasi precedente schema e preconcetto, rappresenta il momento della carriera dei Voivod in cui il metal inizierà ad essere utilizzato solamente come veicolo per la creazione di strutture musicali totalmente destabilizzanti e aliene.
“Goo” è lo spartiacque della carriera dei Sonic Youth, il primo album prodotto dalla Geffen, l’album che li fa uscire dalla realtà underground. Ed è un album geniale.
Pregno d’ira e d’odio “Individual Thought Patterns” è un disco estremo e complesso, la dimostrazione che si può suonare tecnici e violenti.
“Vivid” è un tassello fondamentale per la comprensione di come la musica e il rock nello specifico mutino nel corso degli anni e in funzione di chi lo maneggia e di quale siano il suo background e i suoi scopi, nello specifico per la forza che porta con sé in difesa di una uguaglianza ancora non raggiunta.
È la rottura dello schema precostruito (e già digerito dal pubblico inerme) del rock, che si fa Carrarmatorock! in barba agli imberbi che non ci capivano niente, in barba a quelli che volevano incatenarlo e depotenziarlo. Folli, non ce la farete mai.
Non c’è una singola canzone che si possa dire “bella”, nessuna canzone che rimanga appiccicata ai timpani al primo ascolto, nessuno standard e nessuna melodia musicale, piuttosto una distruzione di questi che si ripercorre in ben ventotto tracce. Ed è questa l’incredibile grandezza di questo lavoro. Tramite la distruzione (musicale) è stata creata un’opera.
Suoni aspri, una voce dalle reminiscenze psichedeliche, cambi di andamento, come se ci si proiettasse dentro una spirale rossa… a strisce bianche.
“Tarkus” è un mezzo capolavoro, irresistibile e incompiuto allo stesso tempo. Più di ogni cosa, è una prova generale, un tentativo riuscito a metà di concepire il disco perfetto. Non era quello il momento, ma lo sarà dopo poco.
“Glee” è un viaggio musicale da godere nella sua interezza. Che sia stato fatto a tavolino o meno, assemblato o che sia il frutto della capacità percettiva di antenne magiche di alcuni fortunati e talentuosi musicisti, non importa. Come nelle migliori fiabe, quando tutto finisce, il bene vince sempre sul male.
Se confrontato con i classiconi degli Slayer, questo lavoro è poca roba. Ma non fate l’errore di sottovalutarlo. Recuperatelo e fatelo ascoltare a tutti coloro che, per qualche strana ragione, hanno sempre considerato la band rinchiusa nella propria comfort zone.
Ascoltare l’intero album è come aprire un dolce carillon, con una melodia continua che sembra si sussegua lungo tutti i brani. Un riassunto dell’alternative degli anni ’80 e ’90 per dare il benvenuto al nuovo millennio.